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DE -MAURI ms UAMATORE DI OSETTID'AF EDI CUMOSlR
ULRICO HOEPLI EDITORE. MILANO
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L'AMATORE DI OGGETTI D'ARTE E DI CURIOSITÀ
DELLO STESSO AUTORE
Nei Manuali Hoepli :
L'Amatore di Maioliche e Porcellane
Notizie tecniche - Sguardo generale sulla Storia delle Ceramiche
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L* Amatore di Ventagli, Tabacchiere
^rnnlfj ^°" nitide Illustrazioni intercalate nel testo e : ricche Tavole fuori testo (in corso di stampa).
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L'Epigramma Italiano fai R^orgimento delie let- ' tere ai tempi moderni, con
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MANUALI HOEPLI
L. DE- MAURI
(E. Saresj'no)
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L'AMATORE
DI
OGGETTI D'ARTE
E DI
CURIOSITÀ
PITTURA - INCISIONE - SCOLTURA IN AVORIO - PIC- COLA SCOLTURA - SCOLTURA MICROSCOPICA - MO- BILI - INTARSIO - VETRI - OROLOGI - OPERE DI STAGNO - CEROPLASTICA - ARMI ED ARMATURE - PIETRE INCISE (cammei ed in incavo) - SCACCHI - SCARABEI DIZIONÀRIO COMPLEMENTARE
TERZA EDIZIONE
con 233 Incisioni, 104 Tavole e numerose Marche
ULRICO HOEPLI
A\ILANO
1922
PROPRIETÀ ARTISTICA E LETTERARIA
Tipografia vSociale di Carlo Sironi - Milano, Via G. Mameli, 15 (Made in Italy)
ALLA MAESTÀ DI
ELENA PETROVIC NIEGOS DEL MONTENEGRO
REGINA D'ITALIA
CHE LE GRAVI FAMIGLIARI CURE
SAGGIAMENTE AMA TEMPRARP:
COLLE DOLCI SENSAZIONI DELLE ARTI BELLE
QUESTO VOLUME
REVERENTE L'AUTORE INTITOLA
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PREFAZIONE
Eccoci alla 3^ Edizione di questo lavoro, ed in tempo relativamente breve. Esso a poco a poco si è venuto in- tegrando, mercè le mie paterne ed amorose cure, ed è entrato nell'uso quotidiano, fra i libri non inutili. Il pubblico ha compreso il fine modesto, ma coscienzioso, che mi ha guidato nel comporre questa e le altre mie opere del genere, alle quali tutte io non voglio attribuire altro merito che quello di <.< abecedario artistico ».
Pertanto, con parola facile, accessibile a tutti, mi sono adoprato da più lustri ad animare i novizi a di- ventare Raccoglitori, guidandoli pei sentieri delle ri- cerche storiche coll'offrir loro le prime e più necessarie indicazioni; a porgere a coloro che già sono intenditori un prontuario alla mano che lì per lì fornisca un nome, una data, un richiamo, un consiglio, loro evitando perdita di tempo; ed a fornire a coloro che non sono raccoglitori, ma dotati di i)uon gusto, un facile mezzo per apprezzare le cose d'arte che nel visitare le città, i musei e le gallerie cadono sotto i loro occhi.
X Prefazione
Quest'opera, quindi, non è destinata a coloro che siedono nei cieli dell'arte. Perciò essi non se ne devono occupare.
Ma il pubblico è bene che sappia che se abecedario vuol dire principio, significa anche dura fatica di chi l'ha composto, e dice al Lettore: persevera e studia, se vuoi giungere a maggiori conoscenze, a vedere coi tuoi occhi, a giudicare colla tua mente, a fare utili e razionali acquisti, ed a salvarti dalle insidie e dagli inganni che sempre ti attendono: e qualche volta ri- cordati di chi ti ha iniziato.
Iv. De-Mauri
(E. Sarasino). Il Calendimaggio del 1922.
ABBREVIAZIONI
Batt. |
Battista. 1 |
Scolt. |
Scoltura. |
Fiam. |
Fiammingo, a. |
Scult. |
Scultore. |
Frane. |
Francese. |
Sec. |
Secolo. |
G. C. |
Gesù Cristo. |
st. oss. |
stesse osservazioni. |
Gio. |
Giovanni. |
Ted. |
Tedesco, a. |
Inc. |
i incisore. ( incisione. |
V. |
Vedasi. |
* |
Si veda il significato di |
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Ing. |
Inglese. |
questo segno a pag. idi, |
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It. |
Italiano, a. |
ed a pag. 503. |
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m. |
morto, a. |
||
M. V. |
Maria Vergine. |
0. P. |
Questo segno indica; Ope- |
n. |
nato, a. |
ra od Opere Principali |
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01. |
Olandese. |
e più pregiate delVarti- |
|
Pag. |
Pagina. |
sta di cui si parla, 0 |
|
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Ritratto, litratli. j |
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PITTURA
ELEMENTI CHE DEVONO CONCORRERE ALLA BONTÀ DI UN DIPINTO
Definizione della pittura e del quadro
La Pittura considerata relativamente al quadro è L'arte di applicare colori, senza rilievo, su di una su- perficie unita, in maniera che essi imitino un oggetto qualunque come lo si può vedere, o concepire visibile in natura.
Da questa definizione ne consegue che un dipinto che soddisfi in un modo qualunque a tali condizioni è un vero quadro; ma ciò non vuol dire che sia un buon quadro. Poiché non solamente il soggetto deve influire sulla bontà, ma è evidente che esso sarà tanto più buono, quanto le dette condizioni saranno più sapientemente e rigorosamente osservate e quindi quanto più l'imitazione sarà perfetta.
1 — Sarasino.
Pittura
Il quadro buono
Buona scelta, buona esecuzione, sono due parole che racchiudono tutte le condizioni la cui unione è ne- cessaria affinchè un quadro sia buono. Il suo merito aumenterà in proporzione che tali qualità saranno applicabili ad un grado più elevato; di modo che si possa dire: scelta migliore, esecuzione migliore, scelta ottima, ottima esecuzione, oppure uno possa espri- mersi in qualsiasi altra maniera comparativa in me- glio sopra il positivo buono. Tali qualità meno sa- ranno applicabili ad un quadro, più il quadro diven- terà cattivo, peggiore e pessimo, sia pel soggetto, sia per Tesecuzione, sia per tutte due assieme, in modo proporzionale ai gradi di cui si allontanerà da questa regola che fissa l'essenza del buon quadro.
La buona scelta
La pittura appartenendo alle arti belle, ogni arti- sta deve proporsi il fine di piacere. Pertanto, questo principio deve guidare la scelta del soggetto perchè esso possa essere buono. Ne consegue che per poco il soggetto dispiaccia, la scelta cesserà di essere buona, e diverrà più cattiva a seconda che il soggetto scelto sarà meno piacente.
Quindi, siccome ogni soggetto dev'essere preso in natura tale quale può essere visto o concepito visibile, esso non può essere di buona scelta se già nella natura stessa non provoca che Tindifierenza per la sua nul-
Trattazione
lità o la sua poca importanza, il disgusto o il dispia- cere per la sua monotonia o per la sua forma ribut- tante, ed infine l'orrore e lo spavento per la sua mo- struosità o barbarie. Per rendere ciò più evidente con un esempio, dirò che un mobile isolato, come una sedia, una tavola, un banco, un libro, un cappello, un piatto, e mille altri oggetti che ci cadono sotto gli occhi ogni momento senza destare in noi la mi- nima attenzione, e parimente una finestra, una porta, un tetto, un muro e tutto quanto fa parte di una a- bitazione ed un'infinità di altri oggetti inanimati, per quanto possa essere prezioso il pennello che li eseguirà, se nulla li accompagna per renderli interes- santi non saranno pel vero conoscitore, mai altro che immagini o giocattoli da bambini. Ma se, per esempio, quella finestra è arrichita mediante una te- sta che si sporga in fuori, l'insieme può diventar un'opera piacente.
Aggiungerò che, fatta eccezione dell'uomo il re della natura, la cui testa può offrire al pittore il sog- getto più gradito pel carattere, la grazia, la nobiltà, l'espressione e l'anima tutt'intiera di cui essa è lo specchio, nessun animale, morto o vivo, non presenta all'artista in una parte isolata qualsiasi del suo corpo, per quanta cura esso metta nell'esecuzione, che un soggetto per uno studio, e nulla per un quadro. I corpi stessi interi della maggior parte degli animali, come pure tutti i vegetali, non possono produrre una buon'opera, se non come parti integranti di un tutto.
Di più, anche il ritratto umano più rassomigliante può diventar un quadro che urterà per la cattiva scelta.
Pittura
se l'artista si permette Fuso dei colori proprii male assortiri nelle vestimenta, o se nel costume, e sopra- tutto nella pettinatura, imita servilmente mode ri- dicole che hanno del caricato per la loro esagerazione e che appena si sopportano mentre sono di moda, ma che si biasimano subito dopo.
Infine, nessun oggetto visibile di qualunque specie esso sia, anche se eseguito colla massima perfezione, non sarà mai reputato di buona scelta se si troverà su di un fondo d'una sola tinta monotona, senza quelle variazioni infinite e quasi impercettibili di co- lori che sempre si osservano in natura, sia in quel che serve di fondo all'oggetto, sia in quel che lo circonda, di cui una parte l'accompagna sempre ai nostri occhi quando noi lo miriamo. Cosa questa che mette l'ar- tista neir obbligo di circondare il suo principale sog- getto, come d'un accessorio inseparabile, secondo la definizione della pittura, che vuole ogni oggetto sia riprodotto, tal quale si può vedere in natura. Da ciò ne nasce che quest'artista peccando contro tale re- gola, allorché egli ha sostituito il cattivo fondo di sua invenzione alla tinta naturale ch'egli doveva imi- tare, ha fatta una scelta cattiva,
È necessario pure far osservare che tutti i soggetti i quali per la loro monotonia dispiacciono in natura e che per la triste uniformità della lor tinta disgustano, stancano ed allontanano lo spettatore, poiché le nu- merose tinte particolari scompaiono allorquando se ne abbraccia una gran parte per volta, e non offrono che cattive scelte al pittore, a meno ch'egli sappia rompere la monotonia con effetti possibili che il suo
Trattazione
ingegno gli detterà, per esempio rompendo il nero spiacente delle notti mediante effetti piacevoli di luna o d'una luce artificiale o coi riflessi delle acque, do- rando la bianchezza stancante delle nevi coi raggi rossigni del sole cadente, o correggendo mediante nubi la monotonia punto piacevole d'un cielo tutto grigio, o l'uniformità abbagliante d'un cielo azzurro.
Infine, è evidente che un animale scorticato o sven- trato, delle interiora, del sangue, degli escrementi, degli scheletri, dei teschi, dei cadaveri ed altre simili cose, se colpiscono troppo la vista, saranno altret- tanto spiacenti nella copia quanto lo sono nell'origi- nale; parimenti dicasi delle smorfie e deformità or- ride e mostruose: esse urteranno in un quadro come ur- tano in natura, e di certi avvenimenti troppo snatu- rati, barbari e crudeli che scuoton l'anima e la fanno fremere per orrore: essi produrrebbero un effetto di ripugnanza, e quindi sarebbero ben lungi dal piacere. Anzi diventano tanto più insopportabili, quanto più si avvicinano al vero e quanto più l'esecuzione è perfetta.
Questi oggetti devono essere disposti nelle parti laterali, nei piani superiori del qudro, in lontananza. Esempii imitabili ci offrono « Il Supplizio di Mursia » di Guido Reni (della Galleria di Torino), in cui la scorticatura è appena cominciata e Marsia sta legato all'albero di fianco ad Apollo che campeggia nel mezzo, benché vi sia poco lodevole la strettezza del quadro in proporzione dell'altezza delle figure; e l'Albani (sempre Galleria di Torino) neìVErmafro- dito, dove Amore spiacente dell'insulto fatto alla sua
Pittura
deità, fa l'occorrenze sue in un angolo del quadro e assai appartato dalla scena che si svolge entro la fon- tana della Naiade indarno abbracciante il ritroso gio- vinetto. (V. la R. Pinacoteca di Torino; cfr. Giordani nel Discorso su alcune pitture di Benvenuto da Imola). Non è però la stessa cosa dei soggetti di devozione, dove Tanima dei credenti è disposta a dimenticare le sofferenze dei Santi per non pensare ad altro che alla felicità eterna ch'essi si sono meritata! - Si pos- sono eccettuare eziandio dalla proscrizione generale dei quadri di cattiva scelta certi soggetti tristi e me- lanconici che ispirano la compassione, un tenero in- teresse commisto a timore ed altre simili affezioni che, quand'anche punto allegre, non commovono l'animo con violenza tale che quelli che amano il pa- tetico non abbiano a compiacersene e trovare soddi- sfazione, mentre che i caratteri più sensibili non vi- troveranno che pena e dolore. Si faccia pure eccezione pei quadri di caccia, di battaglie, di genere e di natura morta.
L'Invenzione
La scelta tanto buona che cattiva, di cui qui sopra abbiamo parlato, appartiene alla sola parte dell'arte chiamata invenzione. Questa consiste nella prima i- dea per la quale l'artista ha concepito il suo soggetto e s'è determinato a fermarsi ad essa piuttosto che ad un'altra; astrazion fatta fin qui del modo con cui ne farà un quadro, sia esso di genere storico, sia esso di tutt'altro genere, mediante la composizione e la
Trattazione
disposizione che completano il soggetto e che cia- scuna per la sua parte contribuisce a rendere la scelta buona o cattiva. Pei soggetti di cui l'artista trova il modello nella natura o nella storia, questa parte non aggiunge nulla al suo merito, poiché essa ordinariamente lo dispensa dal mettervi qualche cosa di suo; o meglio, in luogo d'inventare non fa vera- mente che scegliere. L'onore dell'invenzione propria- mente non gli tocca se non nel caso che la sua imma- ginazione ne faccia tutte o quasi tutte le spese. Si è in questo modo che Rubens inventò le sue caccie e le sue belle Allegorie, Raffaello la sua Scuola d'Atene: si è così che Virgilio ed Ovidio inventarono, fra i poeti antichi, l'uno l'Eneide, l'altro la tela e l'ordi- tura delle sue Metamorfosi; e, più vicini a noi, Milton il suo Paradiso perduto, e l'Ariosto il suo Orlando.
La Composizione
La composizione, considerata come una delle tre parti del soggetto, consiste nella scelta che il pittore fa dei personaggi e degli altri oggetti, per comuni- care la sua idea allo spettatore. Più questa compo- sizione sarà piacevole, grandiosa, interessante, ricca, sapiente e giudiziosa, meno vi saranno in essa super- fluit à, cioè cose non necessarie, figure introdotte senza motivo e quasi chiedenti un luogo che loro si adatti. Più il costume, le convenienze e la decenza saranno osservate, e le vesti gettate e piegate con arte, acc usando il nudo, ma senza che ad esso siano appic-
Pittura
cicate, più la composizione parlerà nettamente e chia- ramente allo spirito, più, in una parola, essa sarà conforme alla natura bella, altrettanto essa sarà più perfetta. Ma il suo merito scomparirà e diverrà cattiva in proporzione ch'essa sarà non piacevole, in- significante, fatta a controsenso, sopraccaricata, con- fusa, oscura, o contraria alla natura. . Quest'ultimo difetto spesso deriva da sproporzioni ridicole ed urtanti tra le grandezze rispettive degli oggetti. Si è in questo modo che il grande Raffaello stesso ha commessi due errori urtanti contro la na- tura e la prospettiva lineare nel suo quadro la Tra- sfigurazione, per la piccolezza eccessiva del monte Tabor e la grandezza smisurata del Cristo e dei due Profeti.
Oltre al significato della parola Composizione che sopra abbiamo chiarito, ve n'ha un altro di uso più comune in pittura, che generalmente si usa per indi- care il soggetto ed in pari tempo il modo con cui fu composto e distribuito, astrazion fatta del colorito, del disegno e della espressione. Molti pittori e scrit- tori confondono questi due significati.
Una composizione presa in quest'ultimo senso, può peccare contro la natura peccando contro l'unità, cioè allorché essa riunisce in un solo quadro delle cose che non possono mai trovarsi assieme, o degli avve- nimenti accaduti in epoche o luoghi differenti. Per fortuna questo difetto è raro presso gli antichi e più presso i moderni.
. Queste regole basteranno, per chi ha buon gusto, a giudicare una composizione qualsisai, eccettuate
Trattazione
quelle appartenenti al genere storico. Queste esigono nello spettatore una conoscenza della storia vera o mitologica più ampia di quella dell'artista. Poiché questi non ha bisogno di ben conoscere altro che il soggetto che imprende ad eseguire; mentre che lo spettatore deve mettersi in condizione da giudicare la composizione di tutti i pittori senza eccezione; di interpretare i soggetti storici meno caratterizzati ed i soggetti favolosi più intricati, come pure le allego- rie più assurde e barocche che piace così spesso ai pittori di produrre senza curarsi se saranno o no comprese dagli altri.
Gli Amatori, quindi, che non conoscono la mitologia o la storia debbono consultare chi le conosce per giu- dicare questa parte, a meno che vogliano acconten- tarsi del piacere che può loro procurare un quadro di questo genere per la disposizione, il disegno, la prospettiva e tutto quanto riguarda il colore ed il pennello, facendo, per apprezzarlo, astrazione della verità, dell'esattezza e delle convenienze storiche.
Ma, per contro, l'Amatore istrutto, da poter giudi- care le composizioni storiche, deve considerare ogni oscurità per un errore, poiché ha diritto di esigere che quelle siano chiare in modo da poterne conoscere il soggetto senza veruna difficoltà, e caratterizzate in modo che non diano luogo a confusione con altri soggetti analoghi, come troppo spesso avviene dei quadri antichi di genere storico, ma ancor più sovente in quelli dei pittori moderni, allorché per volere far cosa nuova si rendono incomprensibili.
IO Pittura
La Disposizione
La disposizione o V ordine consiste nel dare a tutti gli oggetti il luogo che loro si conviene. Essa contri- buirà alla bontà del quadro se è ingegnosa e naturale, se evita Tuniforniità e le posizioni simmetriche, se di- stribuirà bene la luce, se fa bene spiccare e lega bene i gruppi, se fa valere Tuna mediante l'altra tutte le parti del quadro, di modo che ne risulti un com- plesso soddisfacente.
Ma essa renderà l'insieme cattivo in proporzione che si allontanerà da queste condizioni. Insomma, la disposizione è nelle mani del pittore quello- che sono le parole, le idee e le frasi sulla bocca dell'oratore o sulla penna dello scrittore.
Il Disegno, le Arie delle teste, le Movenze, l'Espressione
Il disegno, come le arie delle teste, le movenze e Ve- spressione che da quello dipendono, debbono concor- rere rispettivamente ad imitare l'oggetto tale quale lo si può vedere o concepire visibile in natura. Dal che ne segue che se le forme di un oggetto sono deter- minate sia nella realtà sia nell'opinione comune, fondata sul carattere che gli si suppone, il disegno e i suoi tre dipendenti debbono esservi conformi per essere ben resi. Negli oggetti imaginarì e fantastici, il pittore può scegliere le forme a suo piacimento; ma se esse spiacciono allo spettatore, avrà peccato contro la buona scelta.
Trattazione 1 1
Più il disegno sarà corretto ed esattamente somi- gliante al suo modello, meglio le arie delle teste saranno variate ed appropriate ad ogni carattere particolare; infine, più le movenze e le espressioni saranno variate, naturali, ben pesate e conformi all'azione ed alle af- fezioni dell'anima che esige il soggetto, più queste parti contribuiranno, ciascuna per sé, al bell'effetto del quadro, nella proporzione ch'esse saranno più o meno perfette. Proporzione di cui lo spettatore troverà il confronto nelle idee delle cose reali ch'egli ha attinto nella natura, o nelle idee delle cose favo- lose ch'egli attingerà nella differenza dei caratteri che loro si attribuiscono.
Ricordiamoci poi, che il disegno è il dominatore del quadro, e che deve prevalere sempre sui colori. Anche se i colori sono pallidi od uniformi, ma il di- segno è perfetto, il quadro è buono.
Prospettiva lineare ed aerea
Due sorta di prospettive sono necessarie ad ogni quadro che abbia sfondo, o che rappresenti parecchi piani allontanantisi successivamente di più in più dalla nostra vista.
La i^ è la prospettiva lineare, la quale serve a dare agli oggetti le giuste dimensioni che esigono le distanze rispettive che passano fra quelli e l'occhio dello spet- tatore, la grandezza apparente degli oggetti dimi- nuendo sempre, in natura, in ragione inversa della distanza.
12 Pittura
Questa prospettiva faciente parte del disegno fu più o meno conosciuta già nell'antichità. Essa dipende da regole fisse, fondate su principi matematici che col mezzo del punto di vista o dell'occhio, dei punti di distanza (quali la linea di terra o base del quadro, la linea di elevazione e quella che si dice orizzontale e linea di sfondo) guidano con una certezza, assoluta- mente matematica la mano del pittore. Questi sarà quindi inescusabile se trascurasse di far concorrere al buon effetto del quadro questa prospettiva la quale altro non esige che l'impiego del regolo e del compasso.
I Greci già usavano la geometria nella pro- spettiva. Pietro di Borgo San Sepolcro, morto verso il 1460, ne fé' rinascere l'uso, e Brunelleschi, altro artista fiorentino, la perfezionò con dei principi.
La 2^ è la prospettiva aerea. Essa era sconosciuta agli antichi, e non fu scoperta che nel secolo XV, e poscia a poco a poco perfezionata. È questa che dà ai colori proprii il tono che li rende locali e li fa com- parire sul loro vero piano, per una immagine che può contribuire infinitamente al buon effetto dell'opera. È fondata sul fatto che la massa d'aria che intercede tra l'oggetto e l'occhio dello spettatore, aumenta in ragione diretta della distanza, dal che nasce un o- stacolo, sempre proporzionato, che indebolisce i raggi visuali partendo dall'oggetto verso l'occhio, e che per conseguenza glie lo rappresenta meno distinta- mente e sotto una tinta più addolcita. Così più un og- getto è lontano, meno i chiari, le ombre e le mezze tinte diventano visibili; e il suo colore proprio è al-
Trattazione 1 3
trettanto meno apparente, quanto è più modificato dal tono generale del piano su cui si trova.
Il minimo difetto contro questa parte nuoce assai diìVinsiefne; e se il difetto si presenta urtante, distrugge tutta l'armonia e tutta la magìa del quadro.
Contro questa seconda prospettiva hanno sovente peccato anche i più grandi maestri, sopratutto al- lorché la loro composizione racchiudeva qualche scena aerea accessoria, ch'essi riproducevano con una forza di colore eguale a quella dell'azione principale che si svolgeva in terra. Si è in questo modo che il Dome- nichino nel Martirio di S. Agnese, e nella Vergine del Rosario ha privato di verisimiglianza quelle due im- mense composizioni, ciascuna delle quali sembra formi due quadri di forza eguale, l'uno sopra l'altro. In questo stesso modo U Incoronazione della Vergine di Raffaello forma due quadri separati, entrambi fortemente pronunciati, e senza accordo di prospet- tiva né di chiaroscuro: la parte in alto é stata termi- nata dal Penni e quella in basso da Giulio Romano, suoi allievi.
Colori proprii e locali
Il colorito d'un quadro parimenti che quello dell'u- niverso intero non é composto che di colori proprii e di colori locali, il cui insieme produce quello che di- cesi il tono generale di un'opera d'arte.
Il colore proprio è quello che appartiene a ciascun oggetto particolare, astrazion fatta di tutto quello che lo circonda, del luogo in cui esso si trova e della
14 Pittura
luce da cui trae lume. Dal che ne consegue che tutti i riflessi, tutte le mezze tinte, le tinte aeree e le ombre stesse non essendo inerenti al corpo che le attira da altre parti, non possono appartenergli come proprie, ma debbono essere noverate fra i colori locali. Poi- ché quand'anche le ombre sembrino essere insepa- rabili dall'oggetto, esse gli sono così estranee, che scompaiono e cangiano di posizione allorché a quello si muta luogo. Esse non sono altro che una privazione più o meno forte della luce, e sempre dipendenti dalla posizione in cui la parte ombreggiata si trova.
Non solo; ma i colori proprii sono così general- mente influenzati e modificati dall'aria, dalla luce e da tutti i corpi circostanti, che si potrebbe dire che ogni oggetto non offre che tinte più o meno locali al pittore, e che per conseguenza non può impiegarne altri nell'opera sua. Non è quindi giusto dire, come fanno alcuni, che i colori proprii son quelli che si ve- dono nel primo piano. Là come in tutte le altre parti essi sono ordinariamente modificati dai colori ri- flessi di parecchi oggetti vicini; senza parlare dell'ef- fetto più o meno sensibile dell'aria e della luce. La luce sopratutto esercita un impero tale sugli oggetti del primo piano, che dovunque essa cada diretta- mente fa scomparire ed annienta, per così dire, il <:olore proprio, per sostituirvi il suo, di cui l 'efletto diminuisce e scompare a sua volta per lasciar ricom- parire il colore proprio nella stessa proporzione, a misura che la luce cade obliquamente sull'oggetto. JÉcco quindi il principio che, sotto un abile pennello
Trattazione 15
rende il nero stesso quasi bianco ai punti d'incidenza perpendicolare dei raggi luminosi.
Si è la perfetta conoscenza di questo principio ca- pitale che rende le opere di Rttbens e dei suoi migliori allievi tanto superiori per la verità magica del colo- rito. Si è quella che spiega come essi non facciano comparire il colore del sangue attraverso la pelle fine e trasparente dei fiamminghi e sopratutto delle donne fiamminghe se non a misura che l'effetto della luce s'ammorza nelle parti fuggenti; e come il rosso domini in quelle, in generale, che non sono rischia- rate se non se da una luce d,i riflesso, troppo debole per isnaturare il colore proprio, il quale può pure soventi trovarsi rinforzato dal colore del corpo da cui parte la luce riflessa, come avviene quando una parte carnosa riflette su di un'altra, cosa che si nota sopratutto verso le estremità.
Quanto si è detto dimostra a sufficienza che il co- lore locale non è che il colore proprio stesso, ma modi- ficato in diverse maniere a norma delle circostanze, dal tono che gli danno la luce o la sua mancanza, dall'effetto dell'aria interposta tra quello e l'occhio, infine dai colori che i corpi vicini riflettono su di esso e che vi producono soventi i più strani effetti.
Quanto all'influenza della luce sui colori locali, una delle prove meglio accessibili a tutti si è che gli og- getti in pien'aria diminuiscono di forza e scompaiono più prontamente in proporzione che il sole rischiara più fortemente il piano ultimo in cui essi si trovano.
Da questa osservazione e da molte altre analoghe si deduce che la luce influisce in generale più che l'a-
i6 Pittura
ria stessa sui colori locali; e tale deduzione utile a tutti i pittori, diviene indispensabile pei paesisti, al punto che, non tenendone calcolo, la prospettiva aerea, per una rappresentazione falsa e manierata, renderebbe inutili le giuste proporzioni ed i contorni esatti, tracciati dalla prospettiva lineare. Un'altra cosa non meno interessante si è che il colore delle om- bre portate dipende sopratutto da quello della luce, e per conseguenza dallo stato dell'atmosfera. Da questo principio ne risulta che l'azzurro fa sempre la base d'un'ombra portata, quand'anche spesso il rosso ed il giallo possano modificarlo ed anche alterarlo al punto da rendere l'ombra più o meno verdognola o violacea, secondo lo stato attuale dell'atmosfera, il momento del giorno e la stagione dell'anno.
Questo è il campo più vasto che offre la pittura ai suoi cultori, ed in cui un esito completamente ot- tenuto meraviglia l'immaginazione. È qui che l'ar- tista, senz'altro soccorso che lo studio d'una natura varia all'infinito, deve far prova d'una perseveranza instancabile, d'uno spirito osservatore, d'un'eccel- lente finezza di giudizio, d'una mente profonda e creatrice.
Tono generale del Colorito
L'insieme che nasce dai colori tanto proprii che locali produce quello che dicesi in pittura il tono ge- nerale del colorito. Questo, secondo che il pittore avrà bene o male scelto i suoi colori e che li avrà bene o male accompagnati, diverrà conforme alla natura, e
Trattazione 1 7
sarà buono e ben riprodotto se è gradevole, soave, saggiamente vivace, armonioso, caldo, argentino, vaporoso, dolce, morbido o vago; in una parola, se piacerà allo spettatore. Sarà cattivo se in esso si no- teranno qualità a quelle negative. Ma il tono potrà soddisfare ancora, anche senza essere rigorosamente conforme alla natura, allorché appare che l'artista abbia inteso rendere questa più piacevole mediante un tono felicemente manierato. Tale è il tono violaceo o porporino di cui Poelemburg ha saputo fare uso e che ha sedotto Rubens stesso; tale è pur quello che dicesi florido, che incanta in certi lavori di Adriano Van Ostade, e che diletta sì dolcemente nelle opere del Baroccio.
Abbiamo detto che il tono del colorito è l'effetto della scelta e dell'accompagnamento dei colori. Ora aggiungiamo che la bontà di questi è alla sua volta l'effetto della loro conformità colla natura che, se- condo il momento e le circostanze in cui il pittore la prende per modello, gli impone imperiosamente la legge sul tono generale ch'egli deve dare al suo quadro.
Per rendere più intelligibile mediante esempi que- sto principio generale, che è della più alta importanza nella pittura e nell'alrte di giudicare i quadri, diremo che la luce che il giorno diffonde sugli oggetti rischia- randoli, dà loro più o meno il tono del suo proprio colore, dal che ne segue di necessità ch'essa deve decidere più di ogni altra cosa sul tono generale che il colorito d'un quadro esige.
E aggiungiamo che quand'anche le luci artificiali rimangano sempre le stesse al nostro sguardo, non
2 — Sarasino.
Pittura
accade la stessa cosa di quella che proviene dal sole, né di quella che la luna ci rimanda dal sole riflessa. Noi vediamo la luna più scura o più chiara secondo lo stato dell'atmosfera attraverso la quale passano i raggi solari ch'essa riceve e riflette. I raggi che il sole manda variano, per la stessa ragione, di colore e di tinte al nostro sguardo, quand'anche in realtà siano sempre gli stessi.
Questi cangiamenti nella luce dell'astro maggiore dipendono spesso da circostanze accidentali, e ri- sentono allora della instabilità delle cause che li pro- ducono. Se ne risulta un efletto piacevole, l'artista giudizioso potrà impossessarsene; in caso contrario deve evitarli. I cangiamenti invariabili e costanti nel colore dei raggi del sole relativamente a noi, son quelli che trovano la loro origine nelle posizioni rispettive di quest'astro al nostro sguardo allorché si leva, tramonta, o s'avvicina alla metà del suo corso gior- naliero; e parimenti allorché é vicino o lontano da noi nel suo corso annuale. La conoscenza di questi cangiamenti é indispensabile ad ogni pittore, sopra- tutto a quelli che si occupano di paesaggio, che per questo mezzo possono spingere la pratica di osser- vazione fino a fissare il momento del giorno nel loro lavoro.
Si é in questo modo che in un calar del sole essi diffondono su tutto il piano l'efletto che deve pro- durre il colore rossigno de' suoi raggi: donde ne na- scono nel quadro un tono caldo generale di egual na- tura sofluso spesso di vapori che il sole non attira più a sé, ombre portate e molto lunghe.
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Allorché verso la metà del giorno i raggi cocenti del sole disseccano ed ingialliscono ogni cosa, l'arti- sta ne imita l'effetto con una tinta generale che pro- duce un tono caldo e gialliccio, e vi aggiunge delle ombre brevi, a norma della elevazione del sole.
Infine, mediante un tono generale chiaro, non va- poroso, più o meno freddo e con ombre portate assai lunghe, l'abile artista sa imitare con esito felice l'istante del giorno in cui il sole comincia a dissipare la frescura delle notti e la rugiada.
Aggiungerò che in massima generale l'aurora tiene più o meno del colore rosa, del gialliccio o dell'ar- gentino; ed il crepuscolo dell'aranciato, del rosso o del violetto.
Oltre a questi toni generali che produce la luce del sole colle sue differenti posizioni rispetto a noi nel suo corso, e quelli ch'essa può produrre per le cir- costanze accidentali che influiscono sul suo colore proprio, di cui si è parlato, l'aria può far nascere an- ch'essa dei toni generali talvolta buoni, talvolta cat tivi, per sua interposizione tra l'occhio dello spetta- tore e l'azzurro del cielo: e qui daremo un esempio per ognuno dei casi.
Il tono argentino d'un quadro, tono tanto cercato dagli Amatori, non è altro che l'imitazione fedele di quello che prende la natura ne' paesi in cui i raggi del sole non sono troppo perpendicolari, ogni volta che l'aria si trova nello stato richiesto di trasparenza per temperare al punto necessario, per sua interpo- sizione, l'azzurro troppo brillante d'un cielo puro, e per ricevere essa stessa e trasmettere questo tono
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argentino piacevole, che rallegra lo spettatore, ma che l'artista deve guardarsi bene di estendere alle fi- gure né alle dipendenze del primo piano, dove tutto diverrebbe grigio e freddo, non potendo apparire ar- gentino per mancanza d'una massa d'aria sufficiente.
Il tono grigio e freddo, così spiacente, si osserva in natura allorché una nube posando sulla terra, ci mette in una nebbia e ci nasconde il cielo, oppure allorché tutto l'azzurro del cielo scompare dietro le nubi, più elevate che la nebbia, ma massiccie e continue.
Se i quadri divengono freddi peccando contro na- tura allorché vi si usano colori freddi, quali il nero, il bianco, l'azzurro, il verde puro azzurrognolo, senza mettervi la velatura che esige il tono della luce, oppure se lo divengono per non avere il pittore ri- mediato coli 'arte al freddo naturale delle notti e della neve, tali pecche potevansi correggere: ma nulla può correggere il freddo nell'imitazione d'un cielo nascosto dal genere delle nubi qui sopra indicate o reso affatto invisibile da una nebbia.
Il Chiaroscuro
Il chiaroscuro è la scienza dei lumi e delle ombre, — Leonardo da Vinci vi riusci il primo. Nessuna parte dell'arte contribuisce maggiormente all'illusione ne- cessaria all'effetto di un quadro. La magìa consiste, quando si tratta di un solo oggetto, p. es. di una te- sta, nel fatto che l'artista abile lascia in luce le parti che vuole risaltino, degradando con arte la luce, di
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modo che esse ne ricevano maggiormente in propor- zione che debbono essere più salienti. Da un altro lato egli getta nell'ombra le parti che vuole che sfug- gano, cosa che ha cura di eseguire colla stessa grada- zione proporzionale, e con tanto più d'intelligenza in quanto non deve trascurare nessun riflesso neces- sario; anzi talvolta, se l'effetto lo esige deve aggiun- gere qualche scappata di luce. Per questo procedi- mento operato con tutta la destrezza necessaria, la testa sembrerà sortire dal quadro, gli schiacciati prenderanno una giusta rotondità, tutte le parti saran- no al loro posto, e tutto si staccherà dal fondo. È dunque la combinazione della luce e dell'ombra che si dice il chiaroscuro di questa testa di cui tutto l'ef- fetto dipende dalla sapienza di chi lo tratta.
Nei soggetti composti questo chiaroscuro sarà quello dell'oggetto più risaltante e più illuminato. Da questo, la luce portata successivamente colle gra- dazioni naturali sugli altri oggetti, vi produrrà al- trettanti lumi ed ombre, cioè altrettanti chiaroscuri subordinati, la cui riunione farà con quello del primo oggetto un chiaroscuro d'insieme o composto, che ag- giunto ai chiaroscuri, modificati per l'interposizione dell'aria nei piani più lontani (che si può chiamare chiaroscuro aereo), formerà il chiaroscuro generale del quadro.
Di tutte le parti del colorito, nessuna tanto contri- buisce al buon effetto del quadro e alla verità magica d'un opera, né attira più potentemente l'occhio dello spettatore, né è più decisiva per l'illusione dello scor- cio, che il chiaroscuro, se le sue differenti parti sono
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eseguite, disposte e legate coir arte e rarmonia neces- sarie all'illusione che ne deve risultare.
È sopratutto questa parte magica del colorito che rende così cercati i quadri di tanti maestri olandesi, e che contribuisce tanto alla gloria della scuola fiam- minga; ed è infine in questa parte che molti celebri maestri delle scuole italiane hanno peccato; ma dove l'immortale Correggio si è tanto segnalato; il qual fatto prova che non totalmente a ragione il Tiziano è detto principe dei coloristi. Poiché quand'anche esso possedesse in grado massimo molte altre parti del colorito, egli talvolta pare che ignori questa nella sua armonia generale, in modo che i suoi fondi raramente sono accordati col rimanente e bene spesso del tutto neri. La Venere e l'Ecce Homo, i suoi due quadri più famosi, e sopratutto l'ultimo, che è una delle sue composizioni più capitali, offrono, fra tante altre, due esempi luminosi di questa osservazione. Questa censura, però, non va estesa troppo, giacché in altri suoi dipinti la luce e le gradazioni di lumi e d'ombre sono maestrevolmente disposte. Basterebbe citare V Assunta, dove il chiaroscuro é cosi potente da abbagliare il riguardante man mano che l'occhio sale dal primo all'ultimo piano, fino a quel sole dif- fuso di luce dorata in cui la testa della Vergine cam- peggia in iscorcio mirando al cielo.
La Trasparenza
Non è a torto che il vero conoscitore annette tanta importanza alla trasparenza nei quadri, poiché essa
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aumenta il buon effetto con un incanto inesprimibile che seduce anche i più ignoranti. Tutto l'artifizio consiste nelle velature sempre abbastanza trasparenti da lasciar apparire più o meno, secondo il bisogno, le forme ed i colori soggiacenti: dal che solamente ne può nascere una conformità perfetta colla natura. La trasparenza non è limitata alle ombre ed alle mezze tinte che non possono farne a meno; ma l'ar- tista sa trarne egualmente partito per i drappi, gli alberi e per la più parte degli oggeti che entrano nella sua composizione, rompendo così la crudezza dei colori, e dando calore a quelli che sono troppo freddi.
■ Rubens ed i suoi allievi furono eccellenti in questa parte, e del pari il Teniers, Pietro Neefs padre e molti altri fiamminghi; la maggior parte dei pittori della scuola olandese vi si sono egualmente segnalati. Tra gli italiani la scuola di Venezia ne fece, sulle orme del Tiziano, assai buon uso; e Paolo Veronese, quan- d'anche forse un po' troppo crudo ne' suoi chiari, ha saputo rendersi degno di nota per l'arte tanto magica quanto a lui propria colla quale ha trattate le ombre: arte di cui si può trovare la prova persua- siva nel suo quadro meraviglioso delle Nozze di Canaam.
~ Un esempio insigne di trasparenza ha la R. Pi- nacoteca di Torino nei Figli di Carlo I d' Inghil- terra ritratti dal Van Dick, dove le vesticciuole di taso rigido e pesante paion rivelare sotto le velature riflesse l'intimo tessuto, ed il grosso cane ed i tappeti paion pur fatti di nulla in tanta forza di colore.
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L'Armonia
'L'armonia dei colori in un quadro consiste nella loro amicizia, nella loro unione e pur nella loro oppo- sizione, tutte talmente giudiziose e così bene operate ohe ne risulti un accordo perfetto. - Sotto il pennello d'un artista intelligente i colori proprii meno carez- zevoli, quelli stessi che hanno poca amicizia fra loro, possono diventare piacevoli all'occhio e contribuire potentemente alì'avjnonia del quadro colla interpo- sizione di qualche altro colore, come nella musica i toni discordanti legati felicemente fra loro me- diante toni intermedii, possono dare gradevoli sen- sazioni .
L'esito di questa parte del colorito dipende assai dal chiaroscuro il quale, per concorrervi, non deve presentare che delle masse di luce e di ombre larghe e legate mercè passaggi teneri, che producano un tutto ben graduato, in cui nulla stacchi in modo spe- ciale. Questo risultato non dipende nieno dall'uso intelligente dei colori deboli contro i forti e di questi contro i deboli, che dalla buona scelta dei colori lo- cali, di cui nessuno deve produrre un effetto più spic- cato che non esiga il luogo che esso occupa, poiché allora produrrebbe sull'occhio la medesima sensa- zione penosa che produce all'orecchio una stonatura nella musica, di cui l'armonia conosciuta può dare un'idea luminosa del colorito. - È però da riprovare il dipinto che abusa di passaggi teneri per modo da fondere insieme le tinte colla lisciatura propria dello
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smalto. Il distacco è la vita della composizione e del quadro, e si accorda benissimo coir armonia.
È necessario procurare di non confondere mai la monotonia colV armonia nella pittura, proprio come nessuno penserà certo di confonderle nella musica. La buona riuscita di questa parte contribuisce più di qualsiasi altra all'effetto lusinghiero d'un quadro.
L'Effetto
L' effetto, ultima parte del colorito, è il complemento di tutte le altre, il vero fine dell'artista ed il risultato di tutto il suo lavoro. Consiste nell'impressione che produce un quadro sulla persona che lo osserva: quanto più questa impressione sarà gradevole^ at- traente, meravigliosa, tanto migliore sarà l'opera. Se al contrario questa impressione non produrrà nulla di simile sullo spettatore e sopratutto se gli spiace, lo allontana e lo urta, essa porterà seco la condanna del quadro nella mente dello spettatore. In questo caso anche quando un'opera avesse meriti, per la composizione, il disegno e le altre parti che ne dipen- dono, non offrirà più agli occhi del conoscitore che un bel disegno di cui si rimprovererà il cattivo uso.
Un quadro avrà tanto più merito, quanto più l'effetto risalterà subito all'occhio senza urtare la ve- rità, e, più, senza essere troppo spinto.
Non sono da condannarsi del tutto gli effetti così detti artificiali, di cui la natura non offre esempi reali, ma che la mente del pittore ha potuto conce- pire visibili. Ciò nondimeno è sempre da preferirsi
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l'effetto che s'impronta alla natura la quale ne forni- sce in numero infinito e di assai degni della nostra attenzione. Gli artisti, poi, che per dare ai loro quadri maggior effetto, spingono sino all'impossibile l'oppo- sizione dei lumi e delle ombre e non producono tutta la loro falsa magìa che per mezzo di contrasti esage- rati di bianco e nero, non sono da approvare.
Il Caravaggio ed altri molti artisti italiani ci han lasciati esempi chiari di questa verità, che diviene più sensibile ancora in quelli che, oltre a questa ma- niera artificiosa, ne hanno una naturale la quale per- mette la comparazione. Tali sono il Valentin, Anni- bale Caracci, il Guercino, e specialmente lo Spagno- letto, del quale non si può abbastanza deplorare l'ac- cecamento che l'ha gettato in un gusto così cattivo, allorché si contempla la sua ammirabile Adorazione dei pastori. Rembrandt ed i suoi allievi ci hanno la- sciato in parecchi quadri esempi di un effetto arti- fiziale troppo spinto ed anche a fondo troppo nero; ma ci fanno quasi dimenticare questo difetto colla magìa reale del chiaroscuro perfetto, ch'essi han dif- fusa sulle figure del primo piano. Altrettanto si po- trebbe dire di Leonardo Bramer che si dice da taluni discepolo di Rembrandt, quand'anche egli non lo sia stato più di quello che lo furono Giovanni Lievens ed alcuni altri che si pongono a torto nella sua scuola. Quest'errore non trova probabilmente origine che nella forza del colorito e specialmente del chiaroscuro. Non si dimentichi, però, la convenienza dei soggetti di notte, a lume di fiamme, e di giorno a luce di piazza, in cui l'effetto è proprio non meno della volontà del
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pittore che del soggetto trattato. Esempio il Vecchio Dormente accanto al fuoco semispento, del Rem- hrandt nella R. Pinacoteca di Torino.
Impasto, Imprimitura, Tocco
Ora che si sono esposte le qualità che esige ogni parte della pittura affinchè un quadro sia di buona scelta e di buon effetto, sarà bene esaminare in qual cosa la parte manuale dell'arte deve contribuire al buon effetto d'un'opera mediante l'impasto e il tocco.
IJimpasto è l'impiego manuale dei colori in un qua- dro. Differisce dal tocco, il quale indica la maniera in cui l'artista dà ogni colpo di pennello, in questo: che è il prodotto materiale di tutti i tocchi di cui il quadro è il prodotto j ormale.
La maniera con cui un quadro è stato impastato può contribuire molto al suo buon effetto. Essa può, d'altro lato, togliergli o rendergli inutile una gran parte del merito che potrebbe avere altrimenti, e spesso basta da sola per deciderne la condanna nella mente del conoscitore.
Perchè l'impasto sia buono, occorre sia ben nu- trito nelle parti chiare e debole e leggiero nelle parti scure o sfuggenti; o se non lo è realmente, occorre, almeno, che lo sembri mediante velature trasparenti. Ogni colore deve presentarsi netto, puro e fresco nella sua bellezza e nel suo splendore originale. Deve dimostrare una mano intelligente, leggera, facile, ferma. Nulla deve sembrare pesante, stentato né confuso. Un lavoro troppo lungo o mal destro non
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deve averlo sporcato od offuscato tormentandolo troppo, annebbiandolo coi colori vicini, o con quelli del fondo. Dev'essere delicatamente fuso alle sue estremità colla proprietà e maestria richiesta nei co- lori vicini o legato con questi a mezzo di tinte neutre, condotte con giudizio.
In tutto l'impasto non debbono trovarsi né salti né sbalzi tra le tinte che si toccano. Tutto vi dev'es- sere fuso e sfumante con arte.
I contorni di ogni oggetto debbono specialmente essere fusi colla più grande intelligenza e giustezza in tutto quello che loro serve di fondo; poiché se essi lo sono troppo poco diventano tagliènti, secchi come fossero stampati con un modello; sé lo sono troppo rimarranno come appiccicati sul fondo, rendendo l'opera molle, senza forza, e vi distruggeranno tutta la magìa dell'aria che li circonda. Questa e la prece- dente regola hanno, però, una certa anipiezzà, e sof- frono eccezioni: sta all'ingegno dell'artista il saperne trarre giusto partito. Infiniti sono gli autorevoli e- sempi, tra cui vogliam citarne due meravigliosi, cioè Le nozze di Canaam di Paolo Veronese e il Cri- sto che fulmina l'eresia di Rubens.
E fra le dette eccezioni diremo che l'impasto non sfuma, non si fonde materialmente nelle pitture a macchia né in quelle a minuti tocchi con giusta appo- sizione di colori infinitamente degradanti come se fossero tasselli di smalto o pietruzze di mosaico o punti di ricamo o pezze di tarsìa. La fusione in quadri di tal genere si opera coll'armonia delle titne e del chiaroscuro in proporzionata lontananza, e, quindi, per via d'effetto o d'impressione.
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1^' imprimitura è il fondo con cui gli artisti prepa- rano o fan preparare la tela o la tavola prima di di- pingervi su il loro soggetto.
La quantità immensa di quadri di cui il fondo bruno-rosso ha causato la rovina o guastato il tono, distruggendone i colori di cui erano stati coperti, deve consigliare i pittori ad evitare le ocre o terre nella preparazione dei fondi. Le ocre mangiano i colori. Quelli che li fanno bianchi o grigio-bianchi assicurano la durata dell'opera loro. Alcuni hanno saputo trar partito anche da questa specie di fondo, di cui Rubens si è servito con tanta fortuna, pei suoi languidi sapienti, mettendovi, per velatura, nient'al- tro che un po' d'olio appena tinto. Pratica che tal- volta fa distinguere la sua mano da quella de' suoi allievi.
Gli artisti che hanno l'imprudenza di dipingere su fondi operati a base di ocre senza coprirli di un co- lore ad olio, non vedranno mai i loro quadri conser- varsi lungamente tali quali vollero che si presentas- sero all'occhio dello spettatore. Molti ottimi pittori del secolo XV e XVI hanno impiegato con assai buon esito l'imprimitura bianca per disegnarvi su e schizzarvi ad olio i loro soggetti coi loro accessori, ch'essi coprivano in seguito d'un colore ad olio con- veniente e trasparente; pratica che loro dava la fa- cilità di trar partito del loro fondo ogni qualvolta le parti sfuggenti lo richiedevano.
Tutti i colori che compongono l'impasto debbono essere perfettamente macinati e finissimi special- mente pei quadri di piccole dimensioni, perchè la
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nettezza del lavoro non abbia a soffrirne; ed i fondi debbono essere perfettamente addolciti colla spaz- zola di tasso, senza di che le velature non riuscireb- bero ben unite.
Il quadro su cui il pittore si è accontentato di fi- nire il suo abbozzo non coprendolo anche nei chiari che con un po' di colore debolissimo, non può essere duraturo, specialmente se avrà usato molto olio, poiché questo mangerà tosto tali colori poco spessi e finirà col farli morire. Se i grandi maestri non mi- sero sovente sui loro fondi che un po' di vela- tura nelle parti brune e di mezza tinta, ciò fecero usando il meno possibile di olio. In cambio essi han saputo rendere i loro quadri solidi nutrendo ed im- pastando bene le parti chiare e salienti al punto da fissare in tal modo, per sempre, lo splendore e la fre- schezza del loro lavoro, assicurando ai posteri il go- dimento delle loro produzioni.
Quest'impasto dei chiari, tuttavia, ha dei limiti, oltrepassando i quali si cade nella affettazione o si rende palese la propria imperizia. È ben vero che i quadri di grandi dim^ensioni, fatti per essere visti da lontano, sopratutto se dipinti su tela, soffrono e domandano dei colori piìi spessi, per assicurarne e conservarne l'effetto e per impedirne le crepe. La differenza che offrono le opere di Rubens dipinte su tavola che meravigliano ed incantano per leggerezza e la trasparenza del loro impasto e quelli che ha di- pinto sulla tela, che sono sempre impastati il doppio ed anche più, specialmente nei chiari, prova quanto questo sommo colorista abbia sentita la necessità di
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questo principio. Ma chi pensasse d'impastare i suoi colori al punto da farli far gobba per aumentarne l'effetto, peccherà manifestamente contro la defìni zione della pittura che vieta i colori in rilievo. La pittura non è scoltura.
Quelli che si son serviti d'oro e d'argento in fogli nelle loro opere e che vi hanno incastonate pietre fini o altro, non hanno peccato meno contro tale de- finizione che esige V imitazione dei corpi naturali e non i corpi stessi. Un'infinità di quadri possono pro- vare a qual punto meraviglioso l'arte possa imitare Toro, l'argento e le pietre, senza l'impiego degli ori- ginali. Tra gli impasti ve n'ha di quelli in cui i tocchi sono talmente addolciti che appena sono visibili, ed anche in alcuni non se ne scorge affatto nessuna traccia: tali sono quelli dei Mieris, di Gerardo Dou, Van Slingeland, Gaspare Netscher, Ary di Voys, Van der Werff e di parecchi altri pittori olandesi di figure o di genere, il cui finito prezioso rende i quadri tanto cari quanto ricercati; ma allorché quest'estremo fi- nito annunzia troppa fatica, che è senz'anima e senza magìa, che sa della porcellana o dello smalto, come nei quadri di Van Gool, di Wigmana e di Platzer, al- lora toglie tutto il merito all'opera.
Benché esistano quadri di grandi dimensioni as- sai ben resi, il cui impasto mostra pochi tocchi, come in alcuni della miglior maniera di Filippo di Cam pagna, nello stile di Le Sueur e quello di Leonardo da Vinci ed altri buoni pittori antichi, tuttavia Vim- pasto toccato, o a tocco visibile, convien meglio per le opere di grandi forme, ed è il solo che si addica ai
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paesaggi, in cui impedisce lo smalto e fa spiccar me- glio i minuti particolari infiniti che entrano nella loro composizione.
Il tocco, sorgente di tutto rimpasto, significa la maniera di maneggiar il pennello. I tocchi debbono essere arditi, liberi, sicuri e men tastati che sia possi- bile. I lavori in tal guisa toccati sembrano di lontano sommamente finiti, e contribuiscono assai a dar a- nima e moto alle figure. Si opera mediante la spazzola o il pennello. I più celebri pittori di figure o di storia si sono serviti della prima spesso anche per eseguire le più piccole figure con una destrezza ed una nettezza meravigliosa di lavoro.
Il pennello, ciò non di meno, ha servito abbastanza comunemente agli artisti olandesi per le loro opere e a tutti gli altri artisti pei quadri piccoli.
Sia la spazzola, sia il pennello, il tocco sarà sempre lo stesso in quanto ai tratti che produce; quelli della prima solamente sono più larghi, e portano l'impronta dei peli; quelli del pennello sono più stretti ed uniti; ma le stesse regole guidano il pittore al buon effetto.
Per quanto possa parere, per la differenza fra i tocchi dei grandi maestri, che essi abbiano raggiunto tal fine ciascuno a modo suo, senza sottomettersi ad altra regola che a quella della loro scelta, non è men vero che essi tutti hanno camminato verso la perfezione per la stessa via, e che non hanno differito se non nella maniera che ciascuno d'essi ha seguito con maggiore o minor fortuna per arrivarvi. Sono queste stesse maniere che fan conoscere i loro pennelli, coll'aiuto dello stile dell'opera.
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Perchè il tocco sia buono è necessario ch'esso con- tribuisca alla buona esecuzione dell'impasto di cui deve seguire i principii. Poco importa che l'uso dello strumento lo renda marcato o sfumato, granuloso od ornato, arrotondato o allungato, grande o piccolo, appiattito o saliente, smussato o acuto, spesso o sot- tile, solido o trasparente; purché non sia né stentato, o leccato, né timido, magro, meschino, troppo molle o ricercato, né pesante, duro, tagliente e manierato; sia appropriato alla natura di ogni oggetto ed al luo- go ch'esso occupa nel quadro; di modo che nelle carni esso indichi il disegno dei muscoli, il pelo in ogni ani- male, i differenti particolari che distinguono i ve- getali fra loro; e parimenti dicasi di tutti gli altri corpi tali quali essi sono o sembrano essere alla distanza supposta e che diventano meno decisi in ragione dell'allontanamento del loro piano. Inoltre, é neces- sario aggiungere che se le carni e gli altri oggetti uniformi e lisci possono essere bene espressi senza che i tocchi siano visibili, così non avviene dei corpi aventi una superfìcie non unita, quali sarebbero gli animali, i vegetali, i terreni. Questi esigono un tocco visibile, se no piglian l'aspetto di smalto o porcel- lana. I metalli e gli altri corpi splendenti sono nello stesso caso per le loro parti chiare.
Quindi, abbiamo diritto di affermare che senza un buon tocco non é possibile un bel quadro; non solo: ma che non havvi un buon maestro senza un buon tocco proprio, e senza che sappia evitare gli eccessi. Non dobbiamo, per ciò, meravigliarci se un tocco può divenire lodevole secondo le occasioni, sotto tanti
3 — Sarasino.
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titoli differenti. In tal modo si potrà lodare alterna- tivamente con ragione il tocco dei quadri come natu- rale, intelligente, spirituale, netto, accurato, finito, prezioso, delicato, carezzato, unito, pastoso, grasso nutrito, deciso, fiero, franco, sapiente, vigoroso, grande, forte, sfumato, urtato, e così via.
MODO DI BEN GIUDICARE I QUADRI
Questo capitolo non è che il risultato e l'applica- zione pratica del precedente e di quelli che seguiranno: quindi l'Amatore dovrà aver cura di appropriare i principii nei detti capitoli stabiHti, prima di giudi- care un quadro.
Il Webb, inglese, erudito scrittore quanto fine os- servatore, dice: « Abbiamo in noi il germe del gusto, e, perfezionando le nostre facoltà coll'esperienza e il paragone, possiamo arrivare a giudicar saviamente circa le belle arti. Il più grande ostacolo al progresso delle nostre conoscenze nelle arti è, io credo, l'alta opinione che noi concepiamo del giudizio di coloro che le praticano, e la diffidenza proporzionata che abbiamo del nostro. Io non ho quasi mai conosciuto artisti che non fossero ammiratori esclusivi d'una data scuola, o schiavi d'una maniera particolare. È raro ch'essi si elevino ad una contemplazione li- bera ed imparziale del bello, come i letterati e gli uomini di mondo. Le difficoltà che trovano nella pra- tica dell'arte fanno si che essi s'appiglino puramente
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al meccanismo, m.entre che la vanità e Tamor pro- prio fanno loro ammirare il gusto di disegno o di colorito che più si assomiglia a quello ch'essi hanno adottato ».
Questa affettazione odiosa disgusta l'Amatore no- vizio e lo rende timido al punto che, non osando più fidarsi ai propri occhi, si riduce lui stesso a non giu- dicare i quadri che per sentito dire. S'attiene cieca- mente al giudizio altrui, forza la propria convinzione a un servile silenzio, soffoca l'opinione che il suo gu- sto naturale gli detta, e si abitua talmente ad ingran- dire le difficoltà di pervenire alla vera conoscenza che forma oggetto dei suoi desiderii, che non vi arri- verà mai.
È quindi da far meraviglia se nulla sia più raro che un vero conoscitore, mentre che gli allettamenti se- duttori di quest'arte magica fanno nascere gli Ama- tori in grande quantità, di cui ciascuno ha sì grande interesse di diventar conoscitore a sua volta?
I mezzi che noi offriremo appianeranno le difficoltà e dovranno incoraggiare gli Amatori a scuotere il giogo altrui allorché li metteranno in pratica colla osservazione e riflessione, le quali non tarderan guari a condurli alle conoscenze che loro son neces- sarie. Allora facilmente potran convincersi che il vero, conoscitore giudica con imparzialità, che tutte le scuole, tutte le maniere e tutti i nomi a lui sono indifferenti e che non istima il quadro se non che pel suo merito intrinseco, senza bisogno della fama del pittore per pesare l'opera sua. Condotta che non seguono punto quegli artisti che non hanno occhi
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se non per quanto ha relazione colla loro maniera, e che sembrano dimenticare che per questo appunto pittore e conoscitore sono due qualità che vanno assai raramente d'accordo, m.entre si possono più facil- mente riscontrare in quelli che per ispeculazione hanno abbandonato l'esercizio della propria arte.
Costoro, dal momento che l'interesse li ha costretti ad essere imparziali, han potuto diventare conosci- tori più presto che qualunque altro ed anche spin- gere la conoscenza più lontano pel soccorso dei prin- cipii e della pratica dell'arte che esercitavano, la cui parte tecnica è a loro meglio nota, che non agli A- matori in generale; benché la parte ideale ed il risul- tato dell'arte, la quale altro non è che l'effetto, appar- tenga senza distinzione a tutti coloro che hanno oc- chi bene organizzati per quello, e che vi mettono l'abitudine e l'imparzialità necessarie.
Il pubblico stesso, in genere, è il giudice naturale di ogni quadro, come lo è di ogni opera musicale. L'Autore ha un bello scalmanarsi a gridare all'igno- ranza; egli è condannato senza remissione se non pia- cerà a questo pubblico, la cui approvazione dev'es- sere il fine dell'opera sua.
Allorché dovete giudicare un quadro, prima di get- tare gli occhi sulla pittura occorre cominciar sempre col dargli la posizione che gli si conviene; indi pone- tevi ad una distanza proporzionata alla sua grandezza, tra la finestra ed il quadro, di modo che la posizione vostra faccia col quadro e la finestra un triangolo
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di cui voi occuperete l'angolo più acuto: e questo per evitare il riflesso importuno della luce che la superficie del quadro manderebbe su voi qualora il medesimo si collocasse altrimenti. Ciò fatto, porterete gli occhi sull'opera di modo che vi sia possibile tutto d'un colpo abbracciarne l'insieme e considerarne l'effetto. Se questo vi piace, vi fermerete tanto che basti per convincervi in che consiste qwQst' effetto: cioè se esso vi attira per la sua conformità colla natura, o se, finto e falso, non ha fatto che abbagliarvi.
Dopo avere, così, fatta subire la prova a tutto l'in- sieme del quadro, ne esaminerete successivamente tutte le parti, comparandole con quelle della pittura a cui esse appartengono e colle regole contenute nel capitolo precedente.
Siccome ogni quadro è destinato ad essere visto ad una data distanza conforme alla intenzione che aveva l'artista nel dipingerlo, avrete cura di trovare questo vero punto di vista, cercandolo col portarlo più o meno vicino mentre fate le vostre osserva- zioni.
Sonvi taluni che per meglio godere della magia di un'opera la osservano attraverso la mano o attra- verso un tubo avente forma rotonda o quadra o ap- piattita che possa servire ad entrambi gli occhi as- sieme. Questo mezzo non è cattivo, aumenta l'illu- sione, isolando l'insieme del quadro o di una delle sue parti.
Ma non è da approvarsi l'uso di giudicare i quadri osservandoli in uno specchio; poiché questo snatura il vero effetto rendendolo più dolce, e fa scomparire
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la eventuale crudezza, la mancanza di accordo e d'ar- monia: ragione che può farlo scegliere a certi pittori per far vedere le loro opere agli altri, invece di ser- virsene solamente essi stessi mentre lavorano, come è fama facessero il Giorgione ed il Correggio, per ve- der l'effetto dei colori, delle masse, e di tutto l'assie- me del loro quadro. •
Dopo terminato il più attentamente possibile Te- same del quadro e di ogni singola sua parte secondo le regole del capitolo precedente, occorre avvicinarsi tanto quanto l'occhio nudo o armato di lente lo per- mette, per esaminarne l'impasto, il tocco, la conserva- zione e l'originalità, cose che mai si possono né si debbono giudicare di lontano.
Sonvi di quelli che operano al contrario di questo sistema, cominciando l'esame del quadro di dove dovrebbero finirlo. A costoro accade che perdono tutto il vantaggio che dà al sentimento il primo colpo d'occhio per decidere dell'armonia e dell'effetto del quadro, il quale non rimane più un soggetto nuovo pei loro occhi, a causa della conoscenza che già han presa di ciascuna delle sue parti.
Più un'opera d'arte attirerà lo spettatore, tanto migliore essa sarà; e sarà tanto più cattiva quanto più diverrà indifferente o più urtante agli occhi, sin dal momento che questi cadono sulla medesima. Le bel- lezze e le perfezioni che si potranno scoprire in se- guito in un tal quadro, esaminandolo nei suoi parti- colari, non possono più riguardare che le sue parti, ma esse non se ne salvano, però, l'insieme agli occhi del vero conoscitore.
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Ciò fatto, si perdoni ai difetti di particolari, dal mo- mento che non si scoprono che cercandoli, dato che tutto l'insieme piaccia. Giacché la perfezione assoluta non è dell'uomo, convien dire con Orazio:
.... Ubi plura nitent non ego paucis Ojfcndar maculis (i).
Ma se un difetto saliente urta il conoscitore quando egli s'appressa al quadro, al punto da turbargli il piacere che si riprometteva dal suo primo sguardo, questo fatto diviene capitale ed imperdonabile nella sua mente, e per lui il merito del quadro diminuisce in proporzione del numero e della misura dei suoi difetti; sopratutto se, per la loro posizione od impor- tanza essi attirano la sua attenzione ogni volta ch'egli si ferma a contemplare l'opera.
L'Amatore, poi, dovrà ricordarsi di arrecare nel giudizio suo la più grande imparzialità possibile e l'indipendenza più perfetta da ogni pregiudizio e da ogni suggestione altrui. In queste disposizioni, tutte le scuole, tutti i maestri, tutte le maniere, tutti i ge- neri, a lui saranno indifferenti; e da ogni quadro al- tro non esigerà se non che esso sia di buona scelta e di heir effetto: non cercherà dovunque che V imitazione più perfetta, o meglio la meno imperfetta, di quello che può vedere o concepire visibile in natura.
Un tale Amatore ben convinto che tutte le parti della pittura debbono porgersi la mano e concorrere
(i) Quando la maggior parte delle cose è buona, non sarò già io ad offendermi di pochi difetti.
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senza eccezione perchè un quadro possa diventar perfetto, diverrà in breve buon conoscitore, e, se istrutto, potrà prender parte alle critiche le quali continuamente si svolgono nel campo dell'arte.
MODO DI GIUDICARE SE UN QUADRO SIA 0 NO BEN CONSERVATO
Perchè un quadro sia ben conservato occorre che non sia danneggiato né da accidenti, né dall'azione del tempo e dell' atmosfera, né dall'imperizia degli ignoranti; e che, per conseguenza, esso si presenti press'a poco tale quale sortì dalle mani dell'autore, eccettuati i cangiamenti vantaggiosi che può aver subito col tempo, quali sarebbero, fra gli altri, mag- giore solidità, più durezza nell'impasto, ed una su- perfìcie smaltata, con minor crudezza nei colori.
Gli accidenti sono: se avrà buchi, squarci, screpo- lature, fessure o parti asportate; se i colori si sono staccati dall'imprimitura a causa della umidità o della troppa secchezza; se i colori sono stati abbru- ciati dal fuoco (come avviene nei quadri appesi in un punto per cui passi una canna di camino che pro- duca molto calore, o presso ad un tubo di stufa, e nei quadri su cui l'inabile foderatore delle tele abbia passato il ferro troppo caldo); se l'ardore del sole li ha fatti bollire o fatto far vesciche; ed infine se la tavola si è curvata o spaccata.
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Il tempo e l'atmosfera, trai gli altri effetti talvolta diffìcili a scoprirsi, possono produrne su di un quadro alcuni che saltano subito alFocchio, quali sarebbero le screpolature nei quadri su tela e le tarlature di- ventate visibili in quelli su tavola; ma occorre un po' più di attenzione e di abitudine per giudicare se i co- lori si sono alterati a causa delle combinazioni chi- miche a cui essi dan luogo, se Tolio o la imprimitura li ha mangiati e fatti perire alla lunga, o se le ocre usate per fondo, loro hanno comunicato un tono rosso generale.
L'Amatore deve tanto più applicarsi a ben cono- scere i danni di questa specie, in quanto l'arte e la pratica non offrono per alcuni danni rimedi sufficienti e completi, mentre per gli altri l'abile restauratore può metter riparo al punto da ingannare anche gli occhi più esercitati.
Per l'imperizia degli ignoranti poi, un quadro è esposto a soffrire tanti e tali danni, che riesce difficile enumerarli. Onde facilitarne la conoscenza al Let- tore, li divideremo in due specie: cioè in danni che ri- mangono scoperti ed in danni che l'arte ha nascosti con più o meno riuscita, comprendendo anche tra questi ultimi i restauri fatti ai danni occasionati da accidenti.
I danni che rimangono scoperti per lo più debbono la loro origine alla imperizia e mancanza di buon senso in coloro che, privi di conoscenze e, quindi, senza le precauzioni dovute, ebbero l'ardire di nettare i qua- dri a cui la loro mano imprudente ha tolte le velature e danneggiati i colori deboli e delicati sia col sempHce
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sfregamento troppo lungo e troppo rude delle dita secche a nudo, sia coli' uso di mordenti a loro mal noti, e male usati.
Il numero dei quadri di cui questo dannoso modo di operare ha occasionato la rovina e l'occasiona an- cora ogni giorno, oltrepassa i limiti del credibile. An- che allora chi non distrugge completamente il quadro, vi lascia, per lo meno, traccie funeste, togliendogli la trasparenza ed armonia con una parte del suo ef- fetto, rendendolo duro e freddo.
L'invio dei quadri da un paese all'altro è un'altra causa di danni, sia per la mancanza di pratica in co- loro che nel rotolarli girano il colore di dentro, cosa che produce screpolature longitudinali assai spiace- voli, sia per la imprudenza di coloro che si permet- tono di incassarli senza essere al corrente del sistema e delle precauzioni per questo necessarie: e fra questi sono da mettere in prima fila i doganieri che alle fron- tiere, nelle visite, poco si curano della qualità della merce che loro cade sotto mano e nulla affatto delle conseguenze che può produrre anche un solo chiodo male infìsso.
Quindi è necessario consigliare il Lettore a mai esporre i suoi quadri alle visite di dogana senza aver prese in precedenza tutte le precauzioni possibili, viaggiando anche, se occorre, colla merce, onde pre- senziare di persona alla visita stessa.
Parecchie cause ancora possono contribuire a dan- neggiare i quadri; e sono le esalazioni, lo sporco an- tico, specialmente quello del fumo, gli olii e le vernici dure e tenaci che vi si sono sovrapposte, il tono cupo
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giallognolo che prendono spesso quando la luce e l'aria non entrano nell'ambiente in cui il quadro si trova, ed infine le vernici troppo gialle e troppo poco trasparenti. Ed a questo proposito torna acconcio far notare che (quand'anche una vernice un po' gialla serva assai bene, talvolta, per dare a certi quadri un tono più caldo e più dorato) le vernici troppo gialle servono spesso di mezzo agli speculatori in mala fede per nascondere i ritocchi ed anche per dare un aspetto di antichità a quadri dipinti di fresco.
/ danni nascosti dall'arte lo sono in diversi modi: mediante cioè i punteggiamenti, i ritocchi e le ridi- pinture.
Accade talvolta di vedere punteggiamenti fatti da artisti così abili ed intelligenti, ritocchi e ridipinture fatte con tanta maestria e così conformi alle parti originali, e in tutti questi casi trovare i colori nuovi così esattamente in armonia coi vecchi (anche dopo parecchi anni), che senza esserne prevenuti è mate- rialmente impossibile sospettare il minimo restauro.
Si è specialmente nelle parti del tutto velate a nuovo o totalmente ridipinte, che l'Amatore può convincersi dell'impossibilità di scoprire la cosa. L'Italia al giorno d'oggi vanta parecchi di tali abili artisti che salvando e ristabilendo con esito perfetto i capolavori dell'arte, si rendono degni della maggiore considerazione: ed alcuni di essi saggiamente vengono devoluti dal governo al restauro dei dipinti maggior- mente ammalati nelle diverse gallerie del regno.
Però è da riprovarsi la condotta di colore che, senza necessità, si permettono di ridipingere le opere
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dei grandi maestri sotto il pretesto spesso troppo am- bizioso di correggere quello che questi han fatto e tanto più, poi, quando sotto pretesto di mettere i loro ritocchi d'accordo col rimanente, sfigurano il dipinto occupando coi colori spazio maggiore di quello che richieda il male che han voluto nascondere. Ad evi- tare che questo avvenga, con giusto pensiero il go- verno nostro ha diramato apposite istruzioni, e dato ordini precisi, affinchè i restauratori che da esso di- pendono si limitino a coprire nei quadri le sole parti mancanti mercè una tinta neutra, ed a fissare le parti pericolanti; poco o nulla importando che appaia il luogo del restauro, interessando solo che il dipinto conservi tutta la sua originalità e che sia arrestata per tempo la sua malattia.
I restauri perfetti di cui si è parlato non fan per- dere al quadro nulla del suo prezzo; mentre che il ritocco o le ridipinture mal comprese se non alterano il valore reale del dipinto, dal momento che tali co- lori sovrapposti agli antichi si possono togliere a pia- cimento, tuttavia ne sminuiscono la bellezza, almeno quanto lo farebbe il danno ch'essi vollero nascondere se fosse rimasto scoperto, scemandone il merito ap- parente e quindi il prezzo agli occhi di un Amatore che non abbia ancora acquistata la fermezza che dà Tesperienza per decidere del valore reale di un'opera, per quanto siano sfavorevoli le apparenze sotto le quali si presenta; privilegio riservato esclusivamente ai veri conoscitori.
Infine, i restauri mal fatti si tradiscono sia per la tinta, sia pel tocco, sia per l'impasto; ed alcune volte eziandio pel disegno.
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La tinta peccherà per essere falsa, discordante colle sue vicine, più scura o più chiara, spesso più velata ed opaca; talvolta troppo sporca, e sovente troppo netta; e se, per avventura, il colore troppo nuovo non ha ancor cangiato di tono sicché la tinta appaia esatta perchè fu subito scelta conforme a quelle che la circondano, la sola vernice basterà per tradire il ritocco, poiché l'olio evaporandosi in questo luogo la renderà annebbiata, ed alquanto opaca, cosa assai facile a riconoscere guardando il quadro orizzontalmente in piena luce.
Il tocco sopratutto palesa, più sovente di qualun- que altro contrassegno, il restauratore mal pratico e poco savio, il quale invece di imitare con esattezza ed intelligenza i tocchi originali non avrà saputo trarre dal suo pennello mal sicuro che un tocco ti- mido, stentato, incerto, ricercato, confuso.
L' impasto posticcio si distinguerà dair originale allorché non sarà allo stesso livello, cioè più alto o più basso, più o meno unito che quello, o troppo pesante o troppo poco trasparente; infine allorché sarà rimasto tagliente non essendo fuso colle tinte vicine.
Il disegno potrà tradire la pittura nuova allorché figure o altre parti saranno state talmente cancellate nella loro totalità o nei loro contorni, che il ristaura- tore si troverà costretto a sostituirle di sua mente e non avrà abbastanza di sapere da poter seguire il gusto del disegno che regna neir originale. Allora il suo lavoro sarà riconoscibile sia perché peccherà contro i principii del disegno in generale, sia perchè.
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avendo saputo evitare questo primo difetto, sarà caduto in quello di non essere conforme al gusto di disegno, buono o cattivo, dell'autore del quadro.
MODO DI CONOSCERE ED APPREZZARE LE COPIE
Questa è la parte più diffìcile della scienza del vero conoscitore, essendo impossibile dar regole generali applicabili a tutti i casi.
L'arte di ben distinguere un quadro originale da una copia è figlia ordinariamente e quasi sempre del- Tabitudine di osservare, di paragonare e di riflettere; cose che formano il colpo d'occhio decisivo così ne- cessario in questa parte; tuttavia esporremo alcune osservazioni generali e daremo alcune indicazioni fondate sulla lunga esperienza, le quali non potranno che essere utili nella maggior parte dei casi.
Tra le copie ve n'ha di quelle che è del tutto im- possibile riconoscere, e son quelle che i Maestri han fatto sulle loro proprie opere. Si ha un beli 'opporre che confrontando la copia e l'opera originale si tro- verà sempre in qualche parte l'una inferiore all'altra, quand'anche entrambe portino segni infallibili ch'esse sono totalmente di una stessa mano. Dov'è mai l'Argo tanto acuto o l'uomo così impudente da osar decidere se, in questo caso, la copia è la meno buona poiché l'artista non ha potuto mettervi lo stesso fuoco
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che l'aveva animato per l'originale e perchè nel co- piarsi ha avuto il pennello meno franco che nel com- porre? o se al contrario la copia è la migliore poiché l'artista vi ha saputo evitare gli errori che aveva com- messo nell'originale, come ogni autore perfeziona l'opera sua nel rifarla? In questo caso crediamo che la parola copia sia fuori posto riguardo al pubblico, il quale non vedrà che due produzioni di uno stesso artista, il merito diverso delle quali stabilirà a' suoi occhi tutta la differenza del prezzo in ragione del grado di piacere che gli faran provare.
Questi casi non sono rari, e molte delle principali gallerie ce ne offrono esempi; allora guai al privato che si troverà in concorrenza con queste: il suo qua- dro sarà certamente la copia, per originale che esso sia, poiché un pregiudizio assurdo fa credere che tutto sia originale nelle gallerie, nonostante le prove non poche che queste ci offrono del contrario. INIa nelle gallerie le copie sfuggono sovente all'occhio del conoscitore stesso, troppo occupato dei numerosi ca- polavori e delle meraviglie che racchiudono questi ricchi santuari dell'arte.
Le copie che solo un occhio assai esercitato può riconoscere (ma che talvolta é assai diffìcile, per non dire impossibile, distinguere), sono quelle che ec- cellenti discepoli han fatto sui quadri dei loro mae- stri, spesso sotto la loro sorveglianza e la loro corre- zione, e quelle d'un grande artista antico fatte su opere di un altro.
Nell'uno come nell'altro di questi casi, se il copia- tore all'ingegno univa un abile pennello, mirando ad
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una rassomiglianza perfetta, avrà potuto mettere in inganno anche rocchio più esercitato e chiaroveg- gente, come lo prova la copia, così sovente citata negli autori, fatta da Andrea del Sarto di un quadro di Ra-ffaello con una rassomiglianza così perfetta che Giulio Romano, il quale aveva lavorato all'originale col suo maestro, ha preteso riconoscere la propria opera in quella d'Andrea, quand'anche il Vasari ne l'avesse assicurato prima che quella non era che una copia dipinta da Andrea in sua presenza.
Se, al contrario, il copiatore con tutto l'ingegno possibile non ha cercato che di fare un buon quadro sul modello che l'avrà colpito, o se un abile discepolo al fine di perfezionarsi ha copiato sotto gli occhi stessi del suo maestro l'opera di lui, infine se, come accadeva quotidianamente nello studio di Rubens, un allievo provetto nell'arte sua ha sostituito col suo il pennello del maestro compiendo per ordine e su cartoni o abbozzi di lui un quadro ove la composi- zione sola sarà copia, in tutti questi casi è quasi certo che il copiatore avrà lavorato con fuoco e con libertà, e che il suo tocco abituale tradirà la sua mano, anche allorquando il maestro vi avrà aggiunto i proprii tocchi per dare l'ultima perfezione all'opera.
Nessuna scuola offre maggior numero di esempi di quest'ultimo caso che quelle di Raffaello e di Ru- bens: allora tali copie diventano altrettanti quadri preziosissimi, il cui merito e prezzo aumentano in proporzione ch'essi sono di mano più abile. Si è in questo modo che una copia bene accertata di Van
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Dyck dair originale di Rubens, in cui la maniera e tutti i tocchi attestino il pennello magico del primo, non varrebbe meno che T originale.
Rubens stesso, durante il suo lungo soggiorno in Italia, ha fatte delle copie di quadri dei più famosi maestri italiani, di cui più d'uno vale per lo meno l'originale .
Le occupazioni del creatore della scuola fiammin- ga erano sì numerose e varie, come uomo di corte e di stato, come dotto e come pittore, che per bastare a tutto si è visto costretto a confidare l'esecuzione della maggior parte dei suoi quadri a' suoi più abili allievi, non mettendovi per sua parte che uno schizzo leggiero della composizione, una sorveglianza più o meno continua, e correzioni più o meno frequenti secondo le circostanze. Eccoci, quindi, in presenza di altrettante copie, ma senz'altro originale che uno schizzo gettato su di un pezzo di carta, nelle quali l'occhio esercitato saprà distinguere mediante il tocco l'allievo a cui Rubens ha affidata l'opera statagli commessa; moltiplicando così, in certo modo, sé stesso, e nella stessa proporzione i numerosi quadri che sin d'allora portano il suo nome. Si è così che nel quadro immenso e famoso della galleria di Dussel- dorff, trasportato in seguito a Monaco, rappresentante il Giudizio Universale, il conoscitore ravvisa facil- mente il tono ed il fare di Van Thiilden in ogni parte, eccetto che nella gloria di Cristo e quanto l'accom- pagna, in cui si riscontrano le traccie del pennello di Rubens, che invano si cercherebbero nelle altre parti di questa meravigliosa composizione.
4 — Sarasino.
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Comunque possano essere i quadri dipinti dagli allievi di questa scuola portanti il nome del loro mae- stro, fortunato colui che potrà acquistare di tali o- pere! Essi portano sempre l'impronta del grande in- gegno e della mirabile valentia del loro inventore. Ma assai più fortunato senza paragone colui che fosse possessore, cosa ben rara, di un dipinto che sia tutto intiero opera del sommo Rubens.
Si è in un'opera siffatta che si vede questo genio tal quale lo si dovrebbe giudicare: ed è solo giudican- dolo nei lavori altrui che si gettano nubi sul suo ab- bagliante splendore.
Quanto abbiamo detto sopra a proposito di Rubens, si estende alla maggior parte degli altri più celebri maestri, e più specialmente a Raffaello, a Tiziano, a Paolo Veronese, a Guido, all'Albani ad Annibale Carracci (che ha così ben copiato il Correggio e che fu sì ben copiato a sua volta dal Domenichino); in una parola, a tutti i grandi artisti italiani che si prestano, in generale, più facilmente ad essere copiati, che non Rubens, per l'impasto, il tono ed il tocco, e le cui o- pere han servito di studio a maestri antichi che li e- guagliavano in merito, e che li hanno copiati con tanta cura ed intelligenza, che è cosa quasi impossibile il distinguere queste copie dagli originali.
Circostanza che rende spesso i quadri italiani as- sai più difficili ad essere giudicati, che non quelli di tutte le altre scuole; e che prova pure come le copie italiane di questo genere più frequentemente che le altre possano ingenerare duplicati, e passare per ori- ginali.
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Tutte le specie di copie di cui abbiamo parlato sono altrettanto più difficili a distinguere dagli ori- ginali, inquanto congiungono tutte al loro vero me- rito il vantaggio deirantichità, non essendo state di- pinte che da buoni maestri.
Ora le copie di cui ci rimane a parlare son quelle che si tradiscono o per la loro freschezza, non avendo ancora acquistata quella specie di smalto lucente che l'antichità dà ai colori, né il grado di durezza e di secchezza necessario, per il che sembra mandino ancora odor di olio; o che si tradiscono per un impasto grave e pesante, un falso tono del colorito, una mancanza di armonia e di trasparenza o un effetto che non corrisponde alla in- tenzione di tutto l'insieme, o per gradazioni non na- turali, ombre troppo taglienti o dure, ed un chiaro- scuro non riuscito; infine sopratutto per un tocco timido, stentato, tremante, uniforme, senza intelli- genza, malproprio, confuso, o, per lo meno, differente da quello dell'originale, come pure avverrà spesso del disegno.
Si è principalmente negli accessori che il tocco tradisce il copiatore, poiché la sua attenzione ordina- riamente si stanca venendo troppo assorbita dagli oggetti principali. Circa il tono, poi, é ancora a notarsi che siccome il tempo fa abbrunire i colori, e colui che copia d'ordinario li imita quali trovansi nel modello, i suoi, allorché col tempo saranno diventati più scuri, non saranno più conformi all'originale, ma bensì più neri; a meno che l'artista nel copiare non abbia dipinto più chiaro a bella posta.
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Nella scelta dei quadri per una collezione chi può pagare degli originali deve sempre evitare colla mas- sima cura di acquistare quest'ultimo genere di copie che gli farebbero ben poco onore, come poco ne fanno alla pittura stessa.
Sono queste che han resa la parola copia lo spau- racchio dell'Amatore novizio, e steso un velo odioso sulle copie in generale, qualunque possa esserne il merito. Questo nome ispira disprezzo al punto che per iscreditare un quadro, l'individuo più ignorante, non ha che a gridare copia, proprio come chi volesse perdere un povero cane non ha che a gridare arrab- biato !
Tal maniera di operare è diventata sorgente di di- spiaceri e di inciampi agli Amatori, di modo che tal- volta son ridotti, nelle loro compere, ad assicurarsi più della originalità che della bontà di un quadro, per finire poi a non osar acquistare opere che incan- tano pel loro merito reale, ma di cui non possono con certezza determinare l'autore; privandosi talvolta di quadri che possono far ottima figura nella loro rac- colta. Inquantochè, come si è detto ripetutamente, il merito intrinseco di un quadro consiste nel pia- cere che ne procura la vista allo spettatore il quale in quel momento non pensa se non che alla soddisfa- zione che gli fa provare l'opera, senza curarsi di al- tro. Di conseguenza, se una copia nel suo insieme ed in ciascuna delle sue parti ingenera in lui tanta sod- disfazione quanto l'opera originale od anche più, come può accadere, il merito sarà eguale nel rapporto ch'esse hanno l'una e l'altra collo spettatore, per
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quanto possa essere differente il rapporto che hanno fra loro i pittori delle medesime; in quanto uno ha il merito dell'invenzione e l'altro quello dell'imitazione perfetta. Distinzione affatto indifferente all'esperto Amatore il quale non cerca che di procurarsi il piacere di quanto è veraente buono (appunto come fa il buongustaio che mangia con grande soddisfazione una buona pietanza senza occuparsi affatto del cuoco), ma che fu sempre e sarà ancora per lungo tempo della più alta importanza per coloro che at- tribuiscono grandissimo valore alla conoscenza del- l'autore di ogni quadro .
Quindi, l'Amatore rigetti le une col dispregio che si meritano ed accolga le altre e le stimi a norma della loro perfezione, sopratutto allorché gli mancano i mezzi e le occasioni di possederne gli originali. Eviti di far credere a terzi quello che non è, e di far passare le copie per originali: la sua sincera confessione farà l'elogio della sua prudenza, del suo buon gusto, delle sue conoscenze; e l'artista sarà ben contento di po- tersi istruire in casa di lui, collo studio di una copia che a' suoi occhi varrà quanto un originale.
SCUOLE DI PITTURA
Nelle arti del disegno allorché un maestro è riuscito a fare alcuni allievi che siansi segnalati in maniera particolare, si comprende sotto il nome della sua scuola la totalità de' suoi discepoli, tanto cattivi che buoni,
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senza eccezione e senza riguardo al luogo di loro na- scita; ed allorché uno o parecchi dei migliori di que- sti discepoli han formato a loro volta nella stessa città o nello stesso paese in cui dimorava il loro maestro alcuni abili allievi, allora si dà il nome di scuola di questa città o di questo paese alla riunione di tutti gli allievi che si son formati successivamente, senza riguardo, come già si è detto, al loro luogo di origine.
In questo significato si son formate nella pittura diverse Scuole, come accenneremo qui di seguito; e ad imitazione di queste se ne son formate altrettante di scultura, di architettura, d'intaglio, e di tutte le arti belle in generale.
Aggiungo che coloro i quali, dopo appresi i prin- cipii dell'arte presso un maestro, si sono formati, in seguito, il loro stile ed il loro colorito sulla maniera di un altro maestro, si possono comprendere nella scuola di quest'ultimo.
L'Amatore vedendo quanto gli autori siano discordi fra loro nello stabilire il numero e le denominazioni delle scuole generali, non potrà che trovarsi imbaraz- zato.
Alcuni non ne contano che tre, cioè la Romana, la Fiamminga e la Francese; altri cinque, cioè la Ro- mana o Fiorentina, la Veneziana, la Lombarda, la Fiamminga o Tedesca e la Francese; altri separando la Fiorentina dalla Romana e la Tedesca dalla Olan- dese e dalla Fiamminga ne contano otto; alle quali altri ancora aggiungono la Bolognese, la Genovese, la Napoletana e la Spagnuola arrivando così a trovarne sino a dodici. Ed il Lanzi solo all'Italia ne dà quat-
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tordici; cioè quelle di Firenze, Siena, Roma, Napoli, Venezia, Mantova, Modena, Parma, Cremona, Mi- lano, Bologna, Ferrara, Genova e del Piemonte.
Queste contradizioni, che confondono tanto il cu- rioso quanto il vero Amatore, non esisterebbero, se gli scrittori invece di dividere le scuole arbitrariamente secondo il loro capriccio avessero fondata la loro di- visione sulle regole certe che presenta la natura del soggetto, e considerato che onde la scuola di una città o paese possa prender posto fra le scuole gene- rali occorrerebbe che avesse formati parecchi allievi famosi per merito proprio, e che questi nel loro stile e nel loro fare avessero qualche cosa di comune fra loro che caratterizzi in modo speciale la loro maniera, o meglio le parti ideali e meccaniche della loro arte, e che sia abbastanza notevole per distinguere la loro scuola da tutte le altre.
Partendo da questo principio, per semplificare la cosa, non conteremo che otto scuole in tutto, cioè: la Fiorentina o Toscana, la Romana, la Veneziana, la Lombarda, la Fiamminga, l'Olandese, la Francese e la Tedesca.
Se bastasse aver dato al mondo artisti famosi pel loro merito, la Spagna potrebbe reclamare il suo luogo anche fra le scuole generali, non foss'altro che per aver avuto un Morales, en Velasquez ed un Murillo, un Goya, che sì altamente onorarono la loro patria.
Napoli vanterebbe lo stesso diritto per avere avuto lo Spagnoletto, il Calabrese, Salvator Rosa, Luca Gior- dano; Genova per aver avuto il Benedetto, senza
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parlare di Bernardo Strozzi, di Valerio Castelli, di Luca Camhiaso ed altri buoni pittori. Ma la man- canza di carattere generale distintivo nelle maniere di questi maestri non permette che loro si assegni un posto speciale fra le scuole generali, sotto una delle quali si pongono la maggior parte separatamente, secondo che essi s'avvicinano di più per la loro ma- niera, o secondo i maestri di cui sono stati allievi.
Scuola Fiorentina o Toscana
L'Italia deve la pittura a fresco ed a tempera ai Fiorentini. Costoro nel 1240 chiamarono alcuni greci pittori grossolani di immagini sacre, le cui informi produzioni furono il lampo che illuminò la mente di Cimahue per creare dai loro sgorbi una specie di arte, prima fonte di opere meravigliose colle quali due secoli più tardi Firenze destò l'ammirazione di tutta Europa.
La Scuola Fiorentina propriamente detta, riconosce per suo fondatore due uomini veramente grandi, che sono Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonar- roti, Da quest'ultimo essa attinge la sua gloria mag- giore, poiché esso è detto il più sapiente e corretto disegnatore che sia esistito, supposto che Raffaello non l'abbia eguagliato o superato. O, per lo meno, è certo che si è a lui, nonché a Leonardo da Vinci, a Masaccio ed a frate Bartolomeo di S. Marco, anch'essi pittori fiorentini, che Roma deve in gran parte l'i- struzione del divino Raffaello.
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Vi è tanta differenza nello stile ed il fare tra le opere di Leonardo da Vinci, di Buonarroti, di frate Barto- lomeo, di Andrea del Sarto, di Damele di Volterra, di Francesco Vanni, di Pietro da Cortona, di ^4/^5- sandro Allori, di Francesco Furini e di parecchi al- tri eccellenti artisti appartenenti a questa celebre scuola, che è cosa assai diffìcile esporre caratteri di- stintivi generali che siano applicabili a tutti i suoi al- lievi; tuttavia, secondo il Lanzi, si possono riassumere nel modo seguente. « La Scuola fiorentina (non parlo dei suoi sovrani Maestri, parlo del comune degli al- tri) non ha gran merito nel colorito, per cui il Mengs le ha dato il nome di melanconica, né molto nel pan- neggiamento, cosicché altri ebbe a dire parergli che in Firenze i drappi delle figure fossero stati scelti e tagliati con economia; non é grande nel rilievo, non ha gran bellezza perché lungo tempo sprovveduta di ottime statue greche: componendo quadri di mac- china non ha il primo vanto neir aggruppare. Ma nel decoro, nella verità, nella esattezza della storia può anteporsi a molte altre; e suo pregio singolarissimo poi, anzi suo avito patrimonio, é il disegno, come della Scuola Veneziana fu il colorito. Prima di tutte le altre insegnò a procedere scientificamente e per via di principii.
Non basta: ma è da ascriversi a sua propria lode Taver prodotto gran numero di ottimi frescanti, arte così superiore a quella del far tavole ad olio, che al Buonarroti questa in paragone di quella pareva un giuoco! ))
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Scuola Romana
Questa famosissima scuola, che tanto deve alla Fiorentina per parecchie parti dell'arte, ha per fon- datore il divino Raffaello, a cui morte prematura tolse di poter riunire il titolo di gran colorista a quello di principe dei disegnatori. Il raro ingegno di que- st'artista veramente sublime nel disegno sembra as- sorbire talmente per la sua possente attrattiva tutta l'attenzione degli artisti che lo prendono per modello, che la maggior parte di quelli che l'hanno studiato, non eccettuato nemmeno Giulio Romano, il suo mi- glior discepolo, son diventati ancor più mediocri co- loristi di lui.
Anche la Scuola Romana, non troppo commenda- bile dal lato del colorito e delle parti che ne dipendono, si distingue unicamente per idee grandiose, per un disegno nobile e corretto che annunzia dovunque lo studio dell'antico, per una grande bellezza nelle forme, una composizione elegante, benché sovente bizzarra, ed espressioni ideali piuttosto che naturali, di cui spesso una parte è sacrificata alla conservazione della bellezza.
È degno di nota speciale il Barocci, appartenente a questa scuola, che ha saputo riunire un buon di- segno ad un colorito grazioso, mercè lo studio degli antichi e delle opere di Raffaello per formarsi nel di segno, e lo studio del Correggio per arrivare al vero colorito.
Questa scuola ha avuta assai influenza sullo stato attuale della pittura.
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Scuola Veneta
Questa scuola si distingue per la bellezza del suo colorito, e non ha altra guida che la natura.
Il Giorgione fu il primo che vi trovò il vero colo- rito; è sopra di lui che si formò il Tiziano a cui si at- tribuisce la fondazione di questa scuola, i segni ca- ratteristici della quale si riducono ad una imitazione esatta degli oggetti naturali tali quali si vedono e tali quali essi sono in realtà, sia per le *f orme, sia pei colori, tanto nel riposo che nel movimento.
Come Tonore di aver fondata la Scuola Fiorentina è diviso tra Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonar- roti, quand'anche quest'ultimo sia nato ben 29 anni più tardi del primo, sarebbe giusto l'operare nello stesso modo per la Veneziana a riguardo del Gior- gione che non differisce che di un'annata dal Tiziano al quale le sue opere han servito di modello. D'al- tronde, non solamente egli ha formato degli allievi della più alta fama, tra i quali Sebastiano del Piombo ed il Pordenone, ma ancora ha sorpassato in qualche modo le opere del Tiziano per la vigoria del colorito, l'armonia delle tinte e del chiaroscuro, la rotondità perfetta delle figure, la verità delle carni, l'eleganza del disegno e l'eccellente scelta del paesaggio. Sfor- tunatamente per l'arte, questo grand'uomo essendo morto a trentadue anni, non ha potuto lasciare prove del suo valore quanto il Tiziano che campò quasi sino a cent'anni, e che per la sua assiduità al lavoro e l'im- piego del pennello de' suoi allievi di cui ritoccava le
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opere, facendole poscia passar per sue, ha potuto e- stendere la sua fama ovunque, moltiplicando senza fine i suoi ritratti e i suoi quadri di cavalletto.
Chi intenda giudicare spassionatamente, mentre non esita a dare a Raffaello il primo posto fra i dise- gnatori, non potrà dare al Tiziano, senza restrizione, il primo posto fra i coloristi, come molti son soliti a fare.
Egli senza dubbio possiede al più alto grado la scienza dei colori proprii, della loro armonia e sim- patia; le sue carni sono di una verità ammirevole nelle donne e nei fanciulli in generale, ed alcuna volta, quand'anche più raramente, pure negli uomini: ma se queste buone qualità gli han permesso di eccel- lere pel colorito nei suoi ritratti e nei suoi quadri d'una sola figura, assai spesso non si può dire altret- tanto pe' suoi soggetti di composizione, in cui il pri- mo piano solamente dimostra il grande colorista che sovente si cerca invano nei piani che seguono, ove tutto tradisce la sua debolezza nel chiaroscuro gene- rale e nella prospettiva aerea, e, per conseguenza, nei colori locali.
Coloro stessi che lo chiamano il Principe dei colo- risti non negano le sue pecche contro il chiaroscuro, e cercano di scusarlo col pretesto ch'egli ha voluto a bella posta tenere scuri i fondi de' suoi quadri per- chè meglio spiccassero i primi piani. Ma mentre ten- tano di scusarlo, provano ch'egli invece di imitare la natura nei suoi colori locali e nelle sue lontananze, non ha cercato che di abbagliare per l'effetto falso e fittizio che sempre risulta dalla opposizione sover-
Trattazione 6i
chia del bianco o nero. Forse egli stesso seppe cono- scersi mancante in questo punto, ed evitò per ciò le grandi composizioni che, in paragone al numero assai ragguardevole delle opere che ha lasciate, sono cosi rare.
Scuola Lombarda
Coloro che distinguono questa scuola dalla Bolo- gnese sono scusabili, inquantochè nessuno può con- tendere ai Caracci la gloria di aver fatto rivivere l'arte sul punto di perdersi in Italia, cinquantanni dopo la morte del Correggio, formando in Bologna una scuola che è stata sì fertile in allievi dei più di- stinti pel loro ingegno, quali il Procaccino, lo Sche- done, il Guido, V Albani, il Cavedone il Domenichino, il Lanfranco, il Guercino, Carlo Cignani e molti al- tri, di cui parecchi han fatto, a loro volta, degli al- lievi che si resero degni di sì grandi maestri. Dal che ne segue evidentemente che la Scuola Bolognese, la quale ha tanti illustri allievi, riunisce caratteri proprii, sufficienti per distinguerla da tutte le altre, ed ha tutti i requisiti per prender posto fra le scuole generali.
D'un altro lato, il merito eminente del sublime e modesto Correggio sembra reclamare con giustizia, in suo favore, il titolo di fondatore di una scuola. Ma per una singolarità inconcepibile questo grand'uomo le cui opere meravigliose elettrizzano tutti gli occhi un po' esercitati, non ebbe la fortuna di essere mante- nuto nel suo diritto da' suoi allievi né dai discepoli di questi: l'ingegno troppo mediocre di tutti o di
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quasi tutti non avendo bastato ad acquistar loro il grado di celebrità necessario alla formazione di una scuola.
La riunione di queste circostanze, ci costringe a metterci dalla parte di coloro che, quand'anche la regione Bolognese non faccia parte della Lombardia propriamente detta, han trovata la maniera di con- servare il primato all'immortale Correggio chiamando Lombarda la celebre scuola di cui i Caracci sono stati i creatori a Bologna. Quest'opinione sembra tanto più ragionevole in quanto che se questi grandi uo- mini sono venuti troppo tardi al mondo per aver potuto diventare allievi del Correggio, essi si son resi tali in certo modo collo studio delle sue ammirabili opere, di cui si riconoscono facilmente le traccie in quelle di Luigi che sono a Bologna, e sopratutto in quelle che Annibale ha dipinte prima della sua par- tenza per Roma, o come chiunque può convincersi studiando la sua Assunzione della Vergine ed il suo San Matteo, capolavori posseduti dalla galleria di Dresda.
I segni caratteristici che distinguono la Scuola Lombarda dalle altre scuole sono un disegno mae- stoso e di gran gusto, contorni correnti, una ricca disposizione, una bella espressione, le arie delle te- ste soventi graziose, i colori ben fusi, molto avvici- nantisi al naturale allorché essi non sono opachi e non danno nel nero, ed un pennello facile e pastoso. Quelli che in particolare caratterizzano lo stile ed il fare del Correggio sono un disegno talvolta poco cor- retto ma largo, elegante ed ondeggiante; arie di
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teste graziose e ridenti che si fanno sentire fuori posto anche nelle affezioni tristi e violenti, un gusto delicato nel colore, rialzi assai impastati, luci spesso troppo chiare ed un po' pesanti, carni troppo tra- sparenti, una perfetta conoscenza dello scorcio, del chiaroscuro, dei riflessi, delle velature e deirarmonia, un pennello assai pastoso, oggetti bene staccati dal fondo ed il chiaro unito al chiaro, come Tombra al- l'ombra, con grande intelligenza.
Scuola Fiamminga
La Scuola Fiamminga si è resa immortale sin dalla sua origine, diventando, per cosi dire, sin dal 1410 la madre di tutte le scuole per la scoperta della pit- tura ad olio fatta da Giovanni Van Eyck; ma essa deve sopratutto la sua più grande illustrazione alle opere dell'incomparabile Rubens e alla celebre scuola che egli fondò in Anversa al principio del secolo XVII .
A lode di questo sublime artista potrebbonsi ri- portare invero un'infinità di passi di autori noti per la loro competenza in materia, e per la loro impar- zialità; ma non essendo qui il luogo opportuno, ci li- miteremo a trascrivere il solo giudizio che ne dà il dotto quanto equo Pernety: « Rubens avait un genie élevé, facile, plein de feu; savant dans les belles- lettres, l'histoire et la fable. Son grand coloris, l'a- bondance de ses idées, la force de ses expressions et leur vérité, la vivacité et le moélleux de son pin- ceau, l'artifice de son clair-obscur, l'effet et l'harmo-
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nie de ses tableaux; ses belles draperies qui imitent parfaitement Tétoffe qu'il voulait représenter, et qui, par des plis simples, mais savamment jétées, flottent autour du nu sans y étre collées; sa touche belle et légère, ses carnations fraiches, peintes au premier coup, ses groupes de lumière inimitables, faisant toujours arréter roeil du spectateur sur le principal objet du tableau et de chaque groupe, enfin toutes les qualités requises pour forriier le plus grand peintre, ont rendu ce maitre le plus célèbre après Raphael.
« La Nature étant Tobjet que les peintres se pro- posent d'imiter, Rubens, qui y trouvait une variété inépuisable, et une vèr ite qu'on ne trouve pas dans les productions des arts, la suivit plutót que l'anti- que; cette variété fournissait d'ailleurs une vaste carrière à son genie pour les grandes compositions qu'il a exécutées; il trouvait dans la nature des act- titudes plus variées que dans l'antique; et c'est dans cette méme variété qu'il a puisé ces différences de visages et de caractères d'une beante singulière qu'on remarque dans tous ses tableaux.
« On ne doit pas juger de la science de Rubens dans le dessin par les incorrections qu'on trouve quel- quefois dans ses ouvrages. J'en ai parie à plus d'un grand peintre; ils m'ont répondu unanimement que ces incorrections étaient en effet réelles, mais qu'il fallait que Rubens eùt senti la nécessité de les emplo- yer dans les tableaux où il les a mises, puisqu'en vou- lant les corriger dans une copie d'ailleurs bien faite, le bel effet de l'originai ne s'y trouvait plus si par- fait. Il ne faut, donc, pas croire que Rubens ait été
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peu savant dans le dessin; il a méme prouvé le con- traire par divers morceaux dessinés d'un goùt et d'une correction que les bons peintres à^VÉcole ro- maine ne désavoueraient pas».
Grandissimo è il numero dei quadri che a lui sono attribuiti; ed alcuni asseriscono che salga a quat- tro mila; ma ciò non è da credersi, a meno che a lui non si vogliano attribuire le copie o le tele nume- rose ed insignificanti che nulla han di comune con lui che un'apparenza ingannatrice in tutto il colorito, ma alle quali si dà spesso il suo nome, anche in certe gallerie pubbliche, tanto ardente e generale è il desi- derio di possedere sue opere! Di qui deriva troppo sovente che quelli che non conoscono le sue vere pro- duzioni, non giudicano i quadri di questo sublime ingegno che su quadri così indegni, sotto ogni aspetto, del suo raro merito!
Un'altra causa che contribuisce a far misconoscere una parte del suo valore è che non avendo dipinto che opere su comando, il suo grande ingegno ha loro saputo dar l'effetto che esigeva il luogo pel quale esse erano destinate, nella speranza certo che le chiese e gli altri edifizi pubblici avrebbero loro assi- curato per sempre tale sede; mentre che ora si trovano tutti spostati per avvenimenti sui quali Rubens non ha potuto calcolare, e pei quali essi han perduto questa parte di loro merito che faceva tanto onore a quest'artista; e ciò possono attestare coloro che altre volte ebbero la fortuna di ammirare queste opere nei luoghi pei quali l'autore le aveva eseguite.
5 — Sarasixo.
66 Pittura
Coloro che conoscevano le distrazioni e le numerose occupazioni di cui Rubens era sopraccarico per adem- piere ad un tempo i doveri di uomo di stato, di uomo di corte, di dotto, di erudito, di curioso, di viaggia- tore, d'uomo generalmente cercato, di fondatore d'una tale scuola, non esiteranno a credere quanto il signor Van Parys di Anversa, discendente di Ru- bens, ha confidato ed assicurato al signor De Burtin, cioè « qu'on savait par une tradition constante de famille, qu'il n'existe guère plus de deux cents ta- bleaux ou esquisses peints en entier par Rubens lui- méme, depuis son retour de l'Italie; et qu'entre ceux-ci il n'y en a qu'une vingtaine de grands, les autres étant tous de petite forme de chevalet, peints, en general sur des panneaux, dont la grandeur n'est souvent que d'un pied pour les esquisses peintes par lui-méme, et ne va guère au de là de cinq pieds pour ses tableaux achevés ». E circa le altre opere numerosissime, conosciute nel mondo sotto il nome di Rubens, il signor Van Parys assicura, secondo la stessa tradizione di famiglia, che « tous ceux qui en annoncent le style et en quelque fa9on le faire, lui appartiennent en entier pour Vinvention, mais seule- ment en partie pour Vexécution, puisqu'aprés en avoir compose le croquis, il en faisait faire pas ses disci- ples les esquisses, auxquelles il faisait quelquefois des changements; après quoi, il en confiait aux mémes disciples Vexécution dans les grandeurs requises, surveillant leur travail lorsqu'il n'était pas absent, et y mettant la dernière main par ses touches de maitre. Mais il est souvent arrivò que, lorsque ceux
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qui avaient commandé des tableaux en exigeaient la livraison avant le retour du maitre, les élèves les laissaient suivre tels qu'ils les avaient achevés eux- mémes; d'où est résulté, que plus d'un tableau d'au- tel, que la quittance semble prouver d'étre de Ru- bens, n'offre toutefois pas un seul trait de son pin- ceau ».
Quindi, se vogliamo essere giusti verso un uomo si grande, i cui meriti hanno fatto l'ammirazione del Domenichino, di Guido e di altri celebri artisti men- tr'ei viveva fra loro in Italia, se vogliamo conoscere il suo vero merito, dobbiamo cercarlo nelle opere ve- ramente sue.
Tuttavia, le opere numerose di cui egli ha affidata l'esecuzione ai suoi abili allievi tengono quasi tutte un posto elevatissimo fra le produzioni piti ammirate e pili ricercate dell'arte.
Quelle poi che sono state eseguite da Van Dyck, la maggior parte disputano la palma a quelle dovute al pennello del maestro. Nuovo soggetto di gloria per Rubens di aver fatto un tale allievo, mentre né il Cor- reggio, né Raffaello stessi non ne hanno formato al- cuno che sia stato degno di essere in una maniera qualunque a loro paragonato.
Furono allievi di Rubens Bakkereel, Van den Berg, Van Campen, Delmont, Deriksen, Diepenbeeck, Van Dyck, Faidherbe, Fouquières ,Luc Francois, Lue Franquart, Gerard, Van Herp, Van Hoeck, Hofmann, Van der Horst, Jameson, Leux, Malo, Manrique, Ma- rienhof, Van Mol, Panneel, Pepyn, Potter s, Quellyn, Schut, Soutman, Sporkmans, Van Stock, Teniers,
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Thomas, Van Thulden, Victor, Vleugkel, Vorsterman, Wouters.
I caratteri distintivi della scuola Fiamminga, se- condo il Levesque, sono: « Splendore di colore, un chiaroscuro magico, un disegno sapiente, quand'anche non sia fondato sulla scelta delle più belle forme an- tiche, grandiosità nella composizione, una certa no- biltà nelle figure, espressioni forti e naturali, ed una certa bellezza nazionale che non è né quella dell'an- tico, né quella della scuola Romana o Lombarda, ma che é capace e degna del pari di piacere ».
Però questi caratteri riguardano solamente i pit- tori Fiamminghi che si sono dedicati al genere sto- rico; ma siccome questa scuola si é pure ed egual- mente segnalata in tutti gli altri generi, si può sta- bilire per questi, che i suoi caratteri distintivi sono identici a quelli che indicheremo qui appresso pei ^pittori della scuola Olandese.
La città di Anversa non splende solamente fra tutte quelle dei Paesi Bassi pel titolo glorioso di fon- datrice della buona scuola fiamminga, ma sopra tutte le. città d'Europa ha pure il vanto di aver pro- dotto il più gran numero di buoni artisti, in tutti i generi, proporzionatamente alla sua popolazione.
Senza contare quelli che, nati altrove, in essa si sono stabiliti per apprendere l'arte od esercitarla, il numero di quelli solamente che vi sono nati am- monta a sessanta, fra cui Rubens, VanDyck, Teniers, Gonzales , De Crayer , Jordaens , Neéfs , Sneyders , Koeberger, Cossiers, Van Balen, Ouellyn, Pourbus, Pepyn.^
Trattazione 69
La città di Colonia disputa ad Anversa l'onore di aver dati i natali a Rubens, ma prove irrefragabili attestano ch'egli è nato in Anversa e non altrove.
La scuola Fiamminga è inoltre degna di onore pel maraviglioso progresso ch'essa ha fatto fare alla in- cisione. Il genio creatore di Rubens avea condotta quest'arte a un punto tale di perfezione che era per- venuta, mercè le sue cure, a riprodurre mediante nero e bianco non solamente le forme dei corpi ed il loro chiaroscuro, ma anche l'effetto ed il valore dei loro proprii colori, secondo la differenza della loro natura. Arte sorprendente, la cui prova esiste ancora oggidì nelle ammirabili incisioni del Vosterman, del Bolswert e del Pontius.
Scuola Olandese
L'origine di questa seducente scuola differisce to- talmente da quella di tutte le altre; poiché invece di essere il risultato di una riunione successiva di arti- sti che possano risalire a uno o due pittori celebri come a loro sorgente comune, non è che un complesso di una quantità di scuole particolari, indipendenti le une dalle altre, in parecchie delle quali gli allievi hanno superato i proprii maestri dedicandosi al loro medesimo genere, oppure, uscendo dalla loro scuola, hanno alla lor volta formato nuove scuole, in generi affatto diiferenti.
Si è in questo modo che Van Aelst, Berghem, Bloe- maert, Dou, Van Everdlngen, Van Goyen, Hals, De Heem, Moyaert, Van Ostade, Poelembitrs^, Rembrandt,
7o Pittura
Van den Tempel, Van den Velde, Weenninx, Wils, Wynants e molti altri han formate altrettante scuole particolari.
Queste scuole per quanto siano separate dai nomi dei maestri, esse si avvicinano, ciò nondimeno, fra loro più che le scuole italiane o francesi, benché cia- scuna di queste non abbia avuto alla testa che uno o due fondatori principali.
Ciò avviene dal fatto che presso gli Olandesi, qua- lunque possa essere stato il genere ch'essi hanno a- dottato, i maestri come i discepoli avendo egual- mente riconosciuta la natura come loro guida unica, non han potuto differire con stacchi manierati o stili arbitrarli, ma han dovuto necessariamente diventar veri, semplici, attraenti ed interessanti come quella nei loro effetti di dettaglio e d'insieme al punto, che l'essenziale differenzia fra di loro si riduce alla scelta del soggetto e dei colori proprii e alla diversità degli impasti e dei tocchi.
I buoni quadri di questa scuola fanno la delizia dei conoscitori, degli amatori e del pubblico: sono cercati con avidità e pagati a prezzi assai rilevanti.
Nella magia del chiaroscuro e di tutte le parti che dipendono dal colorito, la scuola Olandese egua- glia, per lo meno, la Fiamminga, e supera d'assai tutte le altre scuole. Nella nettezza dell'impasto, nella preziosità del tocco fine, nell'arte delle^ opposi- zioni ed in quella delle gradazioni dei lumi e delle tinte, e nell'effetto delle marine, dei paesaggi e degli animali, essa non riconosce rivali. Se il suo disegno non s'ispira affatto all'antico, inc[uantochè i soggetti
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ch'essa tratta glie lo impediscono, imitando la natura è per lo più corretto tanto quanto lo può essere quello della scuola Romana imitando le statue. Le sue com- posizioni sono quello che debbono essere, e le sue e- spressioni riproducono le affezioni dell'animo con una tale verità, che non si conosce nessun artista il quale abbia sorpassato Giovanni Steen in questo, non al- trimenti che nelle sue composizioni si attraenti quanto ingegnose.
Scuola Francese
Nessun paese ha speso più denaro che la Francia per incoraggiar lo studio della pittura; e, ciò non di meno, nessuna delle scuole generali ha prodotto mi- nor numero di artisti eminenti della francese, mal- grado il numero assai considerevole de' suoi allievi.
Di più è notevole il fatto che è la sola scuola di cui si cercano invano le produzioni nella maggior parte delle gallerie pubbliche e nelle collezioni private delle altre nazioni.
Simone Voitet è considerato generalmente come il fondatore di questa scuola. Senza essere stato un ar tista sommo, non fu certo, come da alcuni è detto, un cattivo pittore. Si son sempre tenuti in buon conto i suoi quadri, specialmente in Italia. Mentre ch'egli visse, fu sempre onorato di commissioni, special- mente a Roma, dov'era capo dell'Accademia di San Luca e dove di lui si vedono parecchie buone opere. Questa stima non cessò neanche dopo la sua morte, come si legge ne' suoi biografi che lo hanno posto fra i pittori celebri del secolo XVII.
72 Pittura
Quest'artista ha il merito di essere stato il primo in Francia ad abbandonare la maniera insipida domi- nante, sforzandosi a diffondere il buon gusto; ed ha la gloria di aver potuto contare fra i suoi discepoli più o meno abili Eustachio Le Sueitr, quest'artista ammirabile, Tonore della scuola Francese, che pel suo raro ingegno ha saputo talmente distinguere il suo stile da quello degli altri pittori della sua nazione, che fa del tutto parte a sé.
È ben vero che la maggior parte dei quadri che ci rimangono del Le Siieur, benché ammirabili per la composizione e perfezione del disegno e delle espres- sioni, peccano singolarmente dal lato del colorito, per il tagliente dei contorni, per un chiaroscuro male inteso, e per la mancanza di effetto e di opposizione, le quali ultime cose concorrono sovente a render cattivo il colorito delle opere di questo maestro an- che allorquando egli ha usato colori proprii, ben scelti e piacevoli. Ma dobbiamo, ad onor del giusto, far osservare pure che non é negli schizzi né nelle opere difettose, quali sarebbero quelle ritoc- cate da altri pennelli, che si deve cercare il vero me- rito di quest'artista, bensì unicamente nel piccolis- simo numero di quadri che ci ha lasciati, come nella sua Predicazione di San Paolo e nella sua Deposizione dalla Croce che si vedono al Museo di Parigi, prove evidenti che egli era in via di diventare eccellente co- lorista quanto era grande disegnatore, se morte im- matura non lo avesse rapito all'arte.
Non mettiamo fra gli artisti della scuola Francese, come fanno alcuni, né il Poussin, né Claudio di Lo-
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rena, pei motivi che accenniamo rispettivamente ai loro nomi nell' Elenco dei principali pittori di tutte le Scuole, che segue questa medesima parte.
Gli autori francesi convengono essi stessi nel de- terminare i caratteri speciali di questa scuola nel modo seguente: « caratteristica che distingue questa scuola da tutte le altre si è quella di non aver carat- tere proprio, ma di possedere l'attitudine ad imitare quello degli altri; riunisce in un grado medio le dif- ferenti parti dell'arte, senza portarne alcuna ad un grado eminente, y» E noi aggiungeremo che essa in generale è assai più debole nel colorito, sopratutto nel chiaroscuro e la prospettiva aerea, che nel dise- gno; ch'essa dimostra altrettanto spirito, leggerezza facilità e gaiezza quanto fertilità e ricchezza nelle sue composizioni; e che è più propria per aumentare il brillante splendore dei ricchi appartamenti, che non per produrre un'illusione magica nelle collezioni degli Amatori.
L'Amatore trova spesso accennato alla Scuola di Fontainehleaii: è quindi bene ch'egli sappia che si dà questo nome alla pleiade di artisti che, sotto Fran- cesco I, si trovavano riuniti specialmente alla sua corte, per lavorare alla decorazione del palazzo di questa città. Tali maestri subirono direttamente l'influenza italiana del Primaticcio e del Rosso capi di questa Scuola e del Parmigiano, del Penni e del Romano. I principali erano: Fantuzzi, Léonard Thiry, René Boyvin, Ruggieri, D. del Barbiere, INlignon, Despéches, Bonneione, Agostino il Veneziano, Ghisi, Vico, Bonasone, ecc.
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Scuola Tedesca
Questa scuola dapprincipio splendette di molta luce nei gusto gotico] ma circostanze politiche e morali l'hanno per così dire, soffocata sin dalla sua nascita, senza lasciarle il tempo di perfezionarsi nel buon gu- sto e permetterle di giungere a maturità.
Essa è stata fondata sulla fine del secolo XV da Alberto Durer di Norimberga.
Fecondo neirinvenzione, ingegnoso nelle idee, va- rio nelle composizioni, suo disegno era corretto e fondato sull'anatomia; sue espressioni erano vere senza essere ideali) suo colorito era dolce e brillante, suo tocco eguale a quello di Mieris e di Gerardo Don per la nettezza e finitezza preziosa.
I difetti che gli si rimproverano, più che suoi, sono del tempo in cui ha vissuto, e trovano sopratutto la loro origine nella scarsa conoscenza della prospet tiva aerea; le pieghe troppo abbondanti e schiacciate, gli errori contro il costume e la secchezza dei contorni che si osserva nella maggior parte delle sue opere, non si riscontrano talvolta affatto in certi suoi lavori più armonici e meglio trattati.
Non è a far meraviglia dei prezzi elevati a cui i quadri del Dùrer si pagano, poiché al merito congiun- gono la rarità] avendoli le gallerie pubbliche tolti quasi tutti dalla circolazione.
II quadro più antico di lui rappresenta il ritratto della Bella Damigella di Norimberga, La firma, come pure la stampa, provano che è stato da lui dipinto
Trattazione 75
nel 1497, e che, quest'artista, il quale non era che nel suo ventiseesimo anno, aveva spinta la sua arte ad un grado assai elevato.
Si è del pari segnalato nella incisione allora a' suoi primi passi, facendola progredire per la nettezza e finezza del suo bulino; e Marc' Antonio stesso, l'in- cisore favorito di Raffaello, prese ad imitarlo.
^lentre Alberto DiXrer così operava, parecchi pit- tori tedeschi facevano ciascuno per parte sua, onore alla loro patria colle produzioni del loro pennello. Tali erano sopratutti Giovanni Holhein il vecchio, che formò fra i suoi discepoli, uno dei suoi figli Gio- vanni Holhein detto il giovane, il quale fu assai supe- riore al padre, e le cui opere sono veramente ammi- rabili. Esse vedonsi a prezzi enormi, benché per la maggior parte non siano che ritratti. Tale era pure Luca Cranach, di cui alcuni quadri sono splendidi per colorito; ed esso pure ebbe per allievo un figlio che gli fu èmulo.
I migliori fra i discepoli del Diirer sono Giorgio Pens e Matteo Gruenwald, del quale spesso si confon- dono le opere con quelle del maestro.
La Scuola Tedesca si è estinta coi suoi artisti, nò più se n'è formata una nuova, nonostante gli inco- raggiamenti assai generosi che i pittori han trovato continuamente in patria.
Tuttavia, la Germania non è rimasta, per questo, priva di artisti egregi: e tali sono stati Adam Elz- haimer, Rottenhamer, Carlo Screta soprannominato VEspadron, Cristoforo Pauditz, Giovanni Lys sopran- nominato Pan, Giovanni Enrico Roos, Denner, Die-
Pittura
trich e Mengs; ma ciascuno di essi splendette isola- tamente, e tutti son passati senza far rivivere la Scuola Tedesca.
CAUSE DEI CARATTERI CHE DISTINGUONO LE DIFFERENTI SCUOLE
Cause fisiche, morali e politiche, tanto generali che particolari, hanno influito in modo più o meno diretto sui caratteri che distinguono fra loro le grandi scuole di cui si è parlato.
Tali cause si riducono alla natura del suolo e del clima dei dilferenti paesi, ai costumi, alle cogni- zioni, al genio, al gusto, all'indole, alle ricchezze, alla religione dei loro abitanti, allo stato di pace o di guerra nei quali si son trovati, alla politica ed ai caratteri del loro governo.
Quindi l'Amatore quando intendesse approfondirsi in queste cause, dovrà studiarle nella storia politica e privata dei diversi popoli; e, nel giudicare di un qua- dro, riportarsi all'epoca in cui fu dipinto, e studiare l'ambiente di quel tempo partendo dall'autore, per arrivare alle persone ed alle cose che lo circondavano, gli avvenimenti, ecc.: il che dimostra che a lui son necessarie conoscenze di ogni specie, cioè una coltura generale; e che i migliori conoscitori sono sempre i più eruditi.
Circa Vindole, è necessario che l'Amatore abbia al- cune spiegazioni più ampie.
Trattazione yy
La costituzione fisica, buona o cattiva, del nostro corpo influisce potentemente sulle affezioni dell'a- nima, sulle disposizioni dello spirito, suirimmagina- zione, sulle qualità delle idee, sulla natura dei nostri movimenti; e per conseguenza essa deve influire anche sui nostri gusti, sulle nostre concezioni e sulle nostre attitudini per l'esecuzione. Ma l'influenza (soventi meno facile ad essere conosciuta) che la co- stituzione del nostro corpo esercita sugli occhi, tal- volta anche nelle persone meglio costituite e dotate di salute, merita un riguardo speciale, appunto per- chè ad essa in generale si fa meno attenzione, mentre talvolta può aver gran peso circa la fama di un pit- tore.
Non basta veder bene in pittura, ma è necessario ben vedere; cioè non basta esaminare con attenzione un oggetto, ma osservarlo colla dovuta giustezza tanto per la sua forma e misura, quanto pel suo co- lore. Molti sono gli inganni di ottica a cui tutti siamo più o meno soggetti; cosa che può far variare le for- me ai nostri occhi: altri possono ingannarsi sulle misure, e ciò avviene in quelli che non han l'occhio matematico; ed altri moltissimi possono ingannarsi sui colori, e ciò avviene in quelli i cui organi sono viziati.
Infatti accade spesso di sentire due pittori che at- tendano a dipingere uno stesso soggetto, p. es. un quadro di paesaggio dal vero, a domandarsi a vicenda durante il lavoro: tu quella casetta, con quel filare di alberi a fianco come li vedi?
Tutto è giallo o verdastro agli occhi del bilioso, lutto appare nerognolo o grigio all'occhio dell'atra-
78 Pittura
biliare: tutto è pallido e sbiadito agli occhi del lan- guido e deir anemico. Colui soltanto che gode perfetta salute, ed in cui gli umori hanno un giusto equili- brio, vede la natura qual'è realmente. Ma per poco ch'ei sia sanguigno, tutto diventa roseo a' suoi occhi e si anima con maggior luce e vivacità.
Aggiungerò ancora che colui che vede male non se n'accorge, e crede di vedere come tutti gli altri.
I GENERI DELLA PITTURA
SECONDO I DIFFERENTI GENERI DI
OGGETTI RAPPRESENTATI
Questo capitolo riguarda solo i dipinti ad olio e non le altre diverse maniere in cui la pittura può esplicarsi, quali sarebbero i dipinti a guazzo o a tem- pera, a fresco, a pastello, in miniatura, smalto, v^etro, porcellana e mosaico, che in generale non fan parte delle collezioni propriamente dette di quadri.
Considerati sotto questo aspetto, i diversi generi di pittura ad olio corrispondono alla classificazione degli oggetti da cui gli artisti traggono i soggetti dei loro quadri.
Essi possono ridursi ai seguenti:
Il genere Storico, che comprende il sacro, il pro- fano, l'allegorico ed il favoloso. Questo genere, come quello del ritratto, è quello a cui il più gran numero di pittori si è dedicato. Ciò malgrado, il numero dei
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buoni quadri di storia è assai piccolo, per la ragione che, essendo la maggior parte d'una forma grande, esigono maggior tempo, e perchè i migliori artisti italiani han consacrata la maggior parte della loro vita agli aiìfreschi: e più ancora perchè questo genere offre maggiori difficoltà.
Infine, il genere storico in quanto racchiude la sto- ria reale e propriamente detta, la favola e l'allegoria, presenta fra gli artisti che vi si sono acquistata mag- gior gloria una parte che si è dedicata principal- mente al srenere ideale che si conviene al favoloso e all'allegorico, ed un'altra parte che si è dedicata al genere naturale il quale si conviene a tutto quello che nella pittura non è immaginario.
II genere di Ritratti. Quand'anche sia immensa- mente più facile dello storico, tuttavia si vedono pochi dipinti di questo genere nelle collezioni, appunto perchè essendo più facili a farsi, non si ricercano che allorquando usciti dai pennelli più famosi, meravi- gliano per la loro magica verità.
Il genere di Finitezza preziosa, come quello che si limita quasi esclusivamente alle opere di alcuni fra i migliori artisti Olandesi, strettamente parlando non dovrebbe formare un genere a parte, essendo già ne- gli altri compreso; ma gli alti prezzi ai quali si ven- dono i quadri di questa specie hanno svegliata presso gli Amatori un'attenzione particolare ed han fatta nascere l'espressione impropria di Genere di finitezza preziosa, per farne una classe a parte e per distin- guerli dalla folla degli altri quadri, non consideran- doli che dal lato del tocco e dell'impasto.
8o Pittura
Il genere di Conversazioni. Uno dei segni che carat- terizzano più generalmente la maniera particolare dei differenti artisti in questo genere, consiste nelle arie delle teste, nelle quali le loro opere per lo più si tradiscono. Parimente dicasi di tutti i pittori di figure.
Il genere di Interni, ha gli stessi caratteri, press'a poco, del Genere di conversazioni.
Il genere di Bettole.
Il genere di Battaglie.
Il genere di Paesaggi. Nel genere del paesaggio ordinario e pastorale, come pure nell'eroico, nello storico, neir arcadico e nell'ideale, la scelta del luogo, della composizione e degli accessori, come tutte le parti che concorrono al buon effetto del qudro, ben- ché possano contribuire, ciascuno per sua parte, e caratterizzare Fautore dell'opera, l'Amatore troverà una via più comoda e più certa per distinguere fra loro tutti i paesisti. Quella di studiare a fondo lo stile e il fare dei loro cieli, e sopratutto famigliariz- zandosi col tocco del loro fogliame, che basterà da solo per guidare con certezza in questo, come la conoscenza esatta del carattere delle lettere di una persona basta per farne conoscere la scrit- tura.
Alcuni artisti in questo genere si sono astenuti dalle figure e dagli animali, pei quali prendevano a prestito il pennello d'altri. Altri si sono limitati alle pianure, altri han preferito le montagne, mentre alcuni hanno abbracciati in una volta terreni immensi e di natura varia.
Trattazioni
Il genere di Animali. Tra tutti gli animali, le pecore offrono all'Amatore un mezzo facile e che colpisce a prima vista, per distinguere fra loro gli artisti in questo genere, pel carattere assai differente che cia- scuno di essi ha saputo dare con buon esito a questi animali, pel disegno e pel tocco; essendo così giunti tutti ad imitare con verità la natura, secondo i diffe- renti paesi dove essi hanno tolto il m.odello nelle di- verse razze, le cui varietà sono altrettanto facili ad es- sere afferrate dalla vista quanto sono difficili ad es- sere espresse colla parola.
Oltre a questo segno caratteristico generale, ogni pittore di animali ne presenta altri che riguardano la sua maniera particolare, quali sarebbero le tinte delle luci, il tono, il tocco; se largo, facile e naturale, o no; la fusione o la secchezza dei contorni, la perfe- zione nella conoscenza del disegno e dell'anatomia degli animali, ed altri varii, che l'Amatore dovrà fissarsi nella mente collo studiare e col vedere.
Il genere di Marine. Un piccolissim.o numero d'ar- tisti si è occupato con buon esito di questo genere. Dopo quello di finitezza preziosa, è il genere in cui è più difficile trovar quadri che abbiano tutte le qua- lità richieste.
Il genere di Architettura. In questo genere gli uni si sono dati al moderno, altri all'antico, ed altri hanno abbracciato più o meno tutte le parti con eguale e- sito; ma la più parte non han poste figure nei loro quadri.
Il genere di oggetti Inanimati, Questo genere ha questa particolarità, che è destinato, per lo più, ad
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Pittura
esser visto da vicino. Di qui accade che viene sti- mato a norma della sua maggiore finitezza preziosa, e della sua maggiore verità.
Queste qualità si trovano riunite in un numero sì piccolo di artisti, che è facilissimo il distinguerli, non foss'altro che pei soggetti ai quali ciascun d'essi si è dedicato di preferenza, pel tono generale del loro colorito, e per le differenze nelle loro maniere rispet- tive di disporre e di raggruppare gli oggetti che essi hanno fatto entrare nelle loro composizioni.
Alcuni non si sono attenuti che ai pesci, altri ai soli fiori, altri ai soli frutti, altri ai mobili preziosi od agli utensili di famiglia.
Un assai piccolo numero di artisti si sono egual- mente segnalati in tutti i generi. Altri si sono appli- cati a parecchi generi alla volta; un gran numero si è limitato ad un solo genere. Egualmente dicasi per le scuole generali: benché abbiano forniti alcuni esempi di ciascun genere, hanno addimostrato ordi- nariamente una predilezione spiccata per l'uno o per l'altro.
Si è così che la Scuola Fiorentina, la Romana e la Lombarda hanno specialmente trattato il genere storico; la Veneziana, la Francese e la Tedesca lo storico ed il ritratto; l'Olandese, tutti i generi, ma poco lo storico: la Fiamminga sola pare siasi occu- pata egualmente ed indistintamente di tutti i generi con fortuna.
Trattazione
QUELLO CHE S'INTENDE PER MANIERA DEI MAESTRI
Maniera è una parola che ha due significati diffe- renti fra loro relativamente alle produzioni della pittura. Presa in un senso diviene una gran rimpro- vero a riguardo degli artisti: presa in un altro serve a far riconoscere l'autore e la scuola a cui le ouere appartengono.
Sotto quest'ultimo senso, la maniera di un pittore non è altro che il modo individuale di scegliere, di concepire ed eseguire i soggetti de' suoi quadri. Quindi, essa racchiude ciò che dicesi il suo stile ed il suo fare: cioè la parte ideale e la parte meccanica del suo ingegno, che daran carattere alle sue opere agli oc- chi di coloro che si sono a quelle famigliarizzati colla dovuta attenzione; permettendo loro di cono- scerne l'autore senza che le opere sue sieno firmate.
La parte meccanica sopratutto è il mezzo più co- stante e meno soggetto ad errori per conoscere il pittore. Poiché, quand'anche l'artista possa variare a piacimento il genere dei soggetti che intraprende, non può variare del pari il suo colorito, il suo impa- sto, il suo tocco, che sono il risultato dell'abitudine della quale non si può spogliare a piacimento. Quindi, fra l'infinita serie degli artisti, ciascuno si forma uri abitudine sua particolare di condurre il suo pen- nello, che diviene caratteristica per riconoscerne le opere.
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Ma ciò malgrado un Amatore poco esercitato op- pure un conoscitore mediocre possono talvolta con- fondere Topera di un abile allievo con quella del suo maestro, allorché l'allievo ne ha imitata la maniera nella composizione, nelle arie delle teste, nel disegno e sue parti, nel colorito ed anche in certi punti l'im- pasto ed il tocco. Però quel certo non so che, proprio all'ingegno particolare di ogni pittore, mancherà sempre nelle opere de' suoi imitatori, poiché il genio non si comunica. Sfortunatamente la conoscenza ne è sovente difficile tanto da essere riservata ai soli grandi conoscitori. L'Amatore quando non potesse vantarsi di esserlo, sarà bene si attenga in tal caso alla risorsa, ordinai iamente certa, che gii offre la parte meccanica di cui non possiamo raccomandargli mai abbastanza lo studio, tenendo sempre presente che ogni artista ha uno o due segni più costanti e più ca- ratteristici sopra tutti gli altri, e che son questi che occorre fissarsi bene in mente. Essi da soli talvolta bastano al bisogno, per distinguere la sua maniera.
FIRME DEI MAESTRI
Il raccogliere marche distintive dei pittori é assai più difficile che raccogliere quelle degli incisori, non solo poiché é senza paragone più facile trovare una collezione di stampe che per lo meno contenga un saggio di una o di un'altra opera di ogni incisore an- tico, che trovare una collezione di quadri che con-
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tenga un saggio del pennello di ogni pittore; ma an- che perchè molti artisti non han firmata una buona parte dei loro quadri, ed altri non ne han firmato nessuno; ed infine, perchè ve n'ha molti ancora che han variato continuamente le loro segnature.
Fra i migliori artisti antichi ve ne sono molti che non hanno mai segnate le loro opere: ed il maggior numero degli artisti Italiani si trovano in questo caso; circostanza che rende sovente più difiicile la decisione sui nomi di autori di assai buone opere italiane, che non sui nomi di pittori di altre nazioni.
Fra i principali maestri delle Scuole Italiane che non hanno mai segnato, o che hanno solo segnati alcuni dei loro quadri si possono citare i seguenti: Federico Barocci, Fra' Bartolomeo di San Marco, il Benedetto, Paride Bordone, il ' Caravaggio, Carlo Ci- gnani, il Correggio, Pietro da Cortona, il Domenichino, Francesco Furini, Luca Giordano, il Giorgione, il Guercino, Guido, Giulio Romano, Carlo Maratta, VOrhetto, Palma il Vecchio, il Parmigiano, il Pesarese, il Pordenone, Raffaello, Andrea Sacchi, Andrea del Sarto, il Sassoferrato, Bartolomeo Schedone, lo Spa- gnoletio, Bernardo Strozzi, il Tintoretto, il Trevigiano, Francesco Vanni, Paolo Veronese, Leonardo da Vinci, i due Zuccaro. Fra i quali il Barocci, Paride Bordone, i Caracci, il Guercino, Andrea del Sarto e il Tintoretto hanno segnate alcune delle loro opere.
Fra i principali maestri delle scuole Italiane che or- dinariamente hanno firmato sono il Bassano, Pom- peo Paltoni, Marco Basaiti, Giovanni Bellini, Guido Cagnacci, Vincenzo Catena, Scipione Compagno, Gio.
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Contarino, il Dosso, Giacomo Empoli, il Francia., Benvenuto Garofalo, Orazio Gentileschi, Filippo Lauri, Andrea Luigi, Palma il giovane e Tiziano, il quale segnava in differenti maniere, e sopratutto dopo che fu fatto cavaliere di Carlo V, firmava in lettere bene spiccanti sul fondo con tale titolo, aggiungendo spesso Tannata sulle opere che meglio erangli riu- scite. Altri han segnato in parte o tutte le loro opere sia in tutte lettere, sia con iniziali, monogram mi o geroglifici.
Sull'esempio della maggioranza degli Italiani, la maggior parte dei pittori storici della Scuola Fiam- minga si sono astenuti dal firmware i loro lavori. Non cito che Rubens e Van Dyck; il primo è certo che non ha segnato alcun lavoro dopo i suoi viaggi in Italia; dal che ne consegue che se alcuna ne esistesse mu- nita di sua firma ben accertata, questa non potrebbe essere che opera di sua gioventù, nello stile dei suo maestro Otto Van Veen.
In quanto a Van Dyck, egli ha segnato come per predilezione solamente quattro o cinque opere, se- condo l'opinione generale.
Debbo raccomandare all'Amatore di tenere a mente che le disonestà ed il sordido interesse hanno spesso alterate o fatte sparire certe segnature; e la vile ope- razione di cancellare le firme ha gettato nell'oblio il ricordo di molti artisti antichi di cui non si trovano più o quasi più le traccie, tranne che nelle opere dei biografi. La Scuola Olandese, così feconda di eccel- lenti artisti, offre numerosi esempi di questo genere
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fra quegli allievi il cui stile e jave si avvicina in qual- che modo allo stile e fare di uno dei pittori della me- desima scuola, i cui quadri sono in voga presso gli Amatori.
La maggior parte delle segnature sono in tutte let- tere o iniziali, più raramente in monogrammi. I mae- stri che hanno usato geroglifici si riducono ad un pic- colissimo numero, quali il Dosso, che sembra abbia combinato il geroglifico al monogramma attraver- sando un D con un osso di morto; il Garofalo che ha sempre usato per segnatura un fiore di garofano, Luca Cranach che segnava con un serpente alato, e Davide Vinckenhooms che segnava con un piccione su di un albero.
È anche possibile trovare talvolta quadri che siano originalmente firmati a dorso; ma questo caso è raro, e qui TAmatore dovrà raddoppiare la sua diffidenza e circospezione. È poi notevole un fatto più frequente, pel quale molti furono e sono ancora oggi giorno in- dotti in errore dannoso : ed è di prendere per segnatura autentica di qualche gran maestro antico o per prova certa della bontà di un quadro lo stemma della città di Anversa impresso mediante un ferro rovente die- tro ad alcuni quadri antichi dipinti su tavola. La ve- rità è che per mantenere, per una specie di controllo la fama di cui godevano le tavole fatte ad Anversa nel tempo in cui l'arte aveva raggiunto il suo più alto grado di gloria, si era adottata la saggia precau- zione di imprimere questa marca su ogni tavola, per attestarne la bontà riconosciuta, come la marca at- testa il titolo legale dei metalli preziosi.
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L'Amatore per evitare danni, quando fosse posses- sore di un quadro firmato, invece di provare se la firma è vera o no tentandola con alcool, farà sempre cosa migliore che tenti di conoscere questo collo stu- dio delle opere dei pittori, o col chiedere aiuto ad un amico intenditore, rinunciando all'opera manuale. Poiché deve sapere che V alcool come cancella tutte le pitture nuove, intacca pure alcuni colori vecchi; quindi l'impiego dev'essere altrettanto più circospetto, in- quanto certi artisti han segnati i loro quadri con co- lori così diluiti o poco solidi, che uno sfregamento un po' rude delle dita, togliendo la vernice, basta soventi per cancellarli. In questo caso è necessario non lasciarsi ingannare da una prova imprudente al punto da credere una pittura nuova quello che è una segnatura veramente originale.
MATERIE SULLE QUALI SI È DIPINTO
Il vero conoscitore non guarda mai un quadro a dorso, se non per assicurarsi di più sul grado di sua conservazione; ma per giudicare quello che è, e da qual paese viene, la sola pittura dev'essere la guida. Ciò diciamo contro coloro i quali avendo il pregiu- dizio che la materia su cui è dipinto un quadro possa influire sul suo merito e sul suo prezzo, la prima cosa che fanno è quella di esaminarli a dorso, passando poi ad osservare il dipinto; cioè operando proprio il contrario di quel che si deve.
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Per vedere quanto poco tale pratica sia utile, ba- sta considerare che una infinità di materie han servito indistintamente agli artisti di ogni paese per dipingere le loro opere. Si trovano quadri dipinti su carta, car- tone, pergamena, avorio, seta, lastre d'oro, d'argento, rame, stagno, ferro bianco, vetro, pasta, marmo, a- labastro tanto bianco che a colori, porfido, agata, diaspro, pietra di paragone o di assaggio, ardesia, e parecchie altre pietre, anche di quelle considerate preziose. Ma la tela ed il legno e talvolta anche il ra- me sono stati generalmente usati pei quadri di una certa grandezza.
Tra queste materie:
La carta ed il cartone han servito sopratutto agli studii degli artisti di grande ingegno delle diffe- renti scuole ed epoche.
II ferro bianco non ha servito che ai Tedeschi ed a pochissimi Italiani, invece del rame.
II legno ha servito indistintamente ai pittori di tutti i paesi, come il rame e la tela. 1^' abete e le al- tre specie di legno dolce, non han servito che ai pit- tori Tedeschi ed agli Italiani, i quali ultimi hanno ,a- vuto generalmente l'abitudine d'usare tavole assai grosse, spesso non lisciate a dorso, o solo pareg- giate colla scure. Il castagno, usato abbastanza co- munemente dai pittori Italiani, lo fu pure dai più antichi artisti Tedeschi e da alcuni Fiamminghi circa lo stesso tempo. L'uso della quercia, e della spe- cie migliore, sembra sia stato abituale più special- mente presso i pittori Fiamminghi ed. Olandesi, di cui non si trovano quadri fatti su altro legno, se si
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eccettua, come abbiam detto, un piccol numero dei più antichi che sono su castagno. Questa specie di tavole di quercia è pregiata presso gli Amatori in Germania, dove pare che nessun artista se ne sia ser- vito; il che diviene sovente ai loro occhi un vero ti- tolo di raccomandazione pei quadri che si trovano dipinti su tal legno. Essi lo chiamano schiff-brett, che sìgnificdi tavola di nave.
Il rame ha servito indistintamente ai pittori di tutti i paesi, come il legno e la tela. È stato usato più specialmente dai Fiamminghi e dagli Olandesi, ma solamente pei quadri di piccole o mediocri dimensioni.
La tela ha servito indistintamente ai pittori di tutti i paesi come il legno ed il rame. Gli Italiani e gli Spagnuoli si sono segnalati per Tuso di tele assai grossolane, la maggior parte così mal preparate che se ne possono contare i fili attraverso la pittura: e sono talvolta così spesse che si direbbero tessute di spago piuttosto che di filo.
La pergamena, Tavorìo, la seta, Toro, l'argento e la più parte delle pietre e dei legni rari sono stati usati dai pittori che miravano al fine ed al prezioso.
Nei quadri antichissimi, ancor prima della sco- perta della pittura ad olio, si osserva abbastanza frequentemente che la tavola sulla quale sembra giaccia il dipinto è, invece, coperta da una tela assai sottile; e che la cera (combinata con altre sostanze che l'hanno resa assai dura) ha servito assai comune- mente agli antichi artisti per applicarvi l'oro dei fiori ed altri ornamenti dorati, sovente in rilievo, che, per un gusto strano, essi introducevano nei loro quadri.
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MANIERA DI ANALIZZARE E DESCRIVERE I QUADRI
La descrizione analitica e metodica dei quadri, fatta colla chiarezza e la precisione voluta, non è cosa facile. Ognuno può di leggieri convincersi, esa- minando i cataloghi che si pubblicano ordinariamente per le vendite, ed anche quelli, sia permesso il dirlo, di alcune gallerie. Ciò avviene appunto perchè chi li compila non è consapevole di queste difficoltà ed o- pera alla leggiera.
Chiunque intenda riuscir bene ad analizzare e de- scrivere metodicamente un quadro per darne un'idea netta agli altri, senza annoiare con delle superfluità o lungaggini insipide, deve congiungere ad uno stile chiaro e conciso tutte le conoscenze che son necessa- rie per formare un Amatore perfetto.
Prima di prendere la penna in mano deve comin- ciare col ben convincersi del merito reale o apparente dell'opera e delle qualità, buone o cattive, di ciascuna delle sue parti ch'ei giudicherà separatamente, senza nessuna prevenzione né parzialità, fondandosi sui principii stabiliti e svolti in questa parte del nostro lavoro.
Deve assicurarsi, in seguito, tanto col colpo d*oc- chio esercitato che dà l'esperienza, quanto col soc- corso di questi cenni, se il quadro è bene o mal conser- vato, se è originale oppure una copia, a quale scuola ed a qual maestro appartiene, se è stato dipinto
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nella giovinezza, nella forza dell'età, o sul declinare dell'artista; e, nel caso che questi abbia usato più maniere, quaFè quella a cui l'oggetto appartiene.
Dopo aver fatta colla più scrupolosa attenzione quest'analisi, come preliminare indispensabile, deve pesare maturamente quali sono le parti da cui dipende principalmente il merito di questo quadro e quali sono quelle che, come caratteristiche, servono a di- stinguerlo dalla folla degli altri. In seguito, deve pen- sare quale sarà la forma più concisa, più chiara, più conveniente per trasmettere altrui fedelmente colle parole ciò che la vista gli avrà fatto conoscere, per la composizione, e quello che gli avrà fatto provare per l'eifetto e l'esecuzione.
Allora solamente lo scrittore si permetterà di con- fidare alla carta le sue idee seguendo l'ordine in cui le avrà disposte prima nella sua mente; cominciando, dopo aver nominato il maestro, per descrivere minu- tamente il soggetto, se ciò sembra sia necessario; se no, coll'indicarlo solamente. Tutto questo va detto colle minori parole possibili, ma in modo chiaro per- chè il lettore ne riporti un'idea netta e precisa. Dopo questo, farà in modo assai succinto l'enumerazione delle qualità degne di nota, per le quali l'opera spicca dal lato della esecuzione, mettendo la massima cura a non indurre nessuno in errore per lodi non meritate. Parte questa che più di qualunque altra esige mag- giore attenzione, onde sempre e sopratutto sia salva la verità.
Lo scrittore finirà la descrizione, se ne avrà mo- tivi sufficienti, con una confessione franca e sincera
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dei difetti urtanti, delle ridipinture evidenti o mal fatte, o dei restauri s'egli ne avrà notati nell'opera; indicherà la grandezza delle figure umane che son poste più presso allo spettatore e darà la grandezza proporzionale di tutte le altre che seguono; non tra- scurando di notar pure la materia sulla quale il qua- dro è dipinto, l'altezza e la larghezza.
Oltre queste regole generali, se ne possono seguire altre più particolari, a norma della scelta che i mae- stri han fatto del loro soggetto.
In questo modo si potrà osservare come nei sog- getti storici la composizionìs, il disegno, le arie delle teste, le attitudini e l'espressione assumono tutt'al- tra importanza che nella maggior parte dei quadri appartenenti ad altri generi; e come, per conseguenza, quanto li riguarda domanda un posto spiccato nella descrizione.
Il modo con cui cadono le vesti e le pieghe son de- gni di pari nota, tanto più che queste contribuiscono assai alla perfezione del disegno allorché annunciano bene le parti che coprono, o, in termini d'arte, accusano bene il nudo; la formazione ed il modo con cui son legati i gruppi, come pure la carna- gione ed il chiaroscuro, offrono ancora delle parti essenziali.
Nei paesaggi sarà opportuno render conto dei dif- ferenti piani , delle figure, degli alberi, dei fabbricati e degli altri particolari di cui sono arrichiti, come pure del cielo e del tono generale del colorito.
Negli interni e nei soggetti di conversazione sarà ne- cessario indicare l'espressione, la distribuzione della
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luce, la scelta dei colori proprii, la trasparenza, il chiaroscuro, e sopratutto, il tocco e l'impasto.
Nelle marine si noterà in modo particolare la tra- sparenza ed il movimento delle acque, la forma ed il movimento delle nubi, e così le navi, le figure, le vele, i cordami e tutto quanto ad esse si appartiene.
Per gli animali si osserverà il disegno, l'espressione e la differenza dei tocchi che il pittore ha usato per esprimere il pelo, la lana, il crine.
Per i ritratti e le figure si osserverà sopratutto la verità magica e l'illusione, non trascurando il chia- roscuro, rimpasto e il tocco.
Nelle piccole figure si osserverà se esse sono di un tocco intelligente, fermo e facile e se i loro movimenti addimostran vita. In quelle un po' più grandi, anzi- tutto occorre esaminare il tocco per assicurarci se sono spirituali, nette, espressive, o preziosamente fi- nite, senza però dimenticare il disegno, l'espressione, le attitudini e l'armonia dei colori.
Nei quadri di costruzioni e di architettura si darà grande importanza alla preziosa finitezza, alla mano ferma, alla prospettiva lineare ed aerea ed all'effetto.
Nei quadri rappresentanti oggetti inanimati si no- terà la composizione, l'esecuzione preziosamente cu- rata e l'illusione perfetta.
Se poi del quadro ch'egli descrive altri prima di lui hanno parlato in giornali, opuscoli od opere, do- vrà darne cenno in modo preciso per guida di chi vo- lesse approfondire le sue ricerche.
In fine, è necessario che ognuno di noi consideri che la stampa trasmettendo ai posteri la descrizione
Trattazione 95
ben fatta e metodica di un'opera d'arte, concorre a conservare a questa una parte della sua esistenza, anche allora che il tempo, gli avvenimenti o la mano ignorante giungessero a distruggerla. Che ne saprem- mo noi dei pittori greci e dei loro quadri più famosi, senza la memoria che di essi ci han trasmessa gli scrittori nelle loro descrizioni, sorgente feconda ed unica che ci rimane su questa materia per l'istruzione del pubblico e specialmente degli artisti?
RESTAURO DEI DIPINTI
I quadri, come tutte le cose di quaggiù, sono soggetti a perire.
Quando nelle pitture si manifestano avarie di una certa gravità, allorché piccole screpolature diventano veri crepacci, e che, infine, i colori si sollevano in forma di scaglie, quasi sempre dobbiamo attribuirne la causa più alla cattiva conservazione per parte del posses- sore che non all'imperizia dell'autore. I pittori (e più risaliremo i secoli, più il fatto rimane costante) nell'operare seguivano metodi ottimi che la tradi- zione loro trasmetteva. Tutti, senza eccezione, arre- cavano la massima cura nel scegliere e preparare i colori, gli olii, le vernici, le tele e le tavole. Ecco perchè noi vediamo i quadri dei primi che hanno di- pinto ad olio, quali Van Eyck e Memling, quando non ebbero a soffrire accidenti estranei, a splendere della loro originaria freschezza e conservazione, come se fossero di ieri.
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Ma così non si può sempre dire dei pittori del se- colo XVII in avanti; al che si deve aggiungere la mancanza di cure, di intelligenza, di amore dei pos- sessori di tante opere preziose, e, quindi l'abbandono e le malattie conseguenti, alle quali è necessario somministrare i rimedii più proprii per richiamarle alla vita. La conoscenza e l'applicazione di questi rimedii costituiscono l'arte, ommeglio la scienza del restauro.
Allorquando una pittura si screpola o si scaglia, è necessario applicare dietro alla tela un'altra tela che consolida tutto ed arresta quasi sempre il pro- gredire del male. Questa operazione si chiama r inte- latura.
Se la pittura si stacca dall'imprimitura posta sulla superfìcie della tela destinata a ricevere i colori, con pericolo che possa cadere in polvere, o se la tela è distrutta, o marcia, sarà indispensabile l'eliminarla, sostituendola con una nuova. Quest'operazione si chiama trasporto. Richiede una mano paziente e so- vratutto abile, poiché non basta togliere e riporre su nuova tela il dipinto, ma occorre togliere la ver- nice, pulirlo e ripararne i luoghi avariati. È noto che la vernice scomposta dalle colle e dai lavaggi non for- ma più che una crosta biancastra che rende comple- tamente invisibile il dipinto; ed il profano di fronte a questo fatto sempre si troverà disorientato anche dopo aver letto tutte le guide pubblicate nel mondo. Tanto in fatto di restauro di quadri come nell'arte medica, le panacee sono una chimera: ogni quadro esige un trattamento speciale; e non esito un mo-
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mento a dichiarare che né il pubblico, né gli artisti, né gli Amatori non han nulla a che vedere in queste delicate operazioni in cui, secondo il caso si fa uso dall'acqua pura sino all'alcool e all'acqua ragia, dallo steccadenti sino al rasoio, mirando ad una sola cosa: che il quadro dopo essere consolidato, sia debitamente pulito e restituito allo stato suo originale, col mas- simo rispetto all'autore del medesimo.
Circa le vernici, ricorderò che sino a pochi anni fa si é considerato come verità di fede l'assioma « Il tempo colorisce i quadri, e l'artista nell'operare ha tenuto conto della favorevole azione del tempo », Nulla v'é di più falso. Un artista non depone il pen- nello che dopo di aver fatto tutto quello ch'egli sa e può, e suo più vivo desiderio é quello che l'opera sua conservi, sinché dura, l'armonia e le delicatezze di tinte che possedeva nel momento in cui uscì dalle sue mani. Mai nessun pittore ha pensato, né detto, né scritto: « io sono un po' crudo, un po' duro, un po' stridente nei colori, lo riconosco, ma non intendo di essere giudicato che di qui a cent'anni ».
L'abile artista fa calcolo sulla sua scienza e non sull'aiuto del tempo del quale non può apprezzare gli effetti troppo sovente perfidi e che mille circostanze concorrono a modificare all'infinito. Gli anni e le ver- nici lungi dall'essere ausiliari preziosi, ne sono im- placabili nemici: Ora stendono su tutta l'opera un fosco velo che la rende invisibile; ora si limitano a distruggere le tinte delicate, per non lasciar sussistere che i colori robusti che, non essendo più fra loro le- gati da felici trapassi, dominano esclusivamente.
7 — Sarasino.
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Un cielo d'un azzurro tenero viene a variare dal verde più chiaro al verde bronzo; il rosso si converte in a- ranciato; il violetto si trasforma in grigio; le carni più fresche assumono color cuoio; i particolari per- dono ogni trasparenza. Il sorgere del sole in certi paesaggi si trasforma in tramonto; le brume matti- nali diventano i vapori rutilanti d'una sera d'estate; dovunque regna un calore falso, monocromo; l'oc- chio non riposa un minuto sui riflessi argentini d'un cielo di azzurro.
Ciò premesso, diremo che tanto le collezioni pri- vate quanto le gallerie pubbliche debbono avere uno scopo precipuo e sacro: di formare la scuola naturale della pittura. È là che professori ed allievi debbono darsi convegno e devotamente inchinarsi alla mae sta del genio, interrogare costantemente le opere che sole possono rivelar loro i misteri dell'arte, i sani precetti che oramai non formano più oggetto d'inse- gnamento. Ma questi misteri non si debbono rendere impenetrabili coll'offrire allo studio ed all'ammira- zione immagini odiosamente confuse, col far adorare false divinità. È dovere dei competenti onesti il pre- sentare al pubblico i Maestri tali quali essi sono, e venerarli coi loro pregi e coi loro difetti.
Dobbiamo togliere dalle loro opere le sozzure che le disonorano, asportare le vecchie vernici, i restauri male eseguiti ed i ritocchi che per coprire i restauri finivano, (come un tempo era uso), per invadere senza motivo le parti originali conservate; indi pas- sare a riempire i buchi, a cui si sarà posta sotto una pezza, con una mestica di tinta neutra, armoniosa,
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senza oltrepassare col pennello i bordi della cicatrice, e nulla più. In quanto alle parti spelate e screpolate è necessario lasciarle intatte, senza interpretare le forme, senza modificare i toni, senza ridipingerle. L'ombra di un grand'uomo sarà sempre più venera- bile delle cattive realtà con cui si tentasse di sosti- tuirlo.
A coloro poi, che - non apprezzando i quadri se non quando non somigliano più a quel che erano al- lorché uscirono dalla mano dell'artista, - si oppo- nessero alle dette ragioni, non avrete che a rispondere : « e voi provvedetevi di vetri colorati a vostro capric- cio; con quelli, sarete certi di vedere le pitture pro- prio come volete, senza privare gli altri di vederle come realmente sono )>.
Ma dette operazioni per molti motivi presentano infinite difiìcoltà che solo gli abili e prudenti Restau- ratori di professione sanno vincere. E ho detto Re- stauratori di professione per significare che non basta essere pittore per essere degni della nostra fiducia in fatto di restauri.
Il nettare e restaurare da noi stessi i nostri quadri ci potrebbe essere fonte di grandissima soddisfazione; ma l'ignoranza dei mezzi e delle altre qualità indi- spensabili, congiunte ad una pazienza da certosino, debbono persuadere il Collezionista a ricorrere ed afiìdarsi sempre ai veri Restauratori.
Chi può enumerare le opere d'arte che andarono perdute pei maneggi inconsulti di gente inesperta? - Affidandovi ai Restauratori, dirò: non badate al buon prezzo: ricorrete unicamente a coloro che hanno
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dato pubblico saggio della loro lunga pratica, del loro sapere e che godono la stima degli intenditori, come con sicurezza avviene dei Restauratori ufficiali delle gallerie di stato, che lunghi anni hanno speso a copiare i Maestri, a ricercare i loro procedimenti, ad analizzare i loro colori, le loro preparazioni dei fondi, le loro vernici, a nulla intraprendere senza un esame maturo, una diagnosi coscienziosa, come fa l'onesto medico di fronte ad un ammalato. Pei pro- fani, poi, la lettura di certi libri che trattano dell'arte del restauro credo che sia consigliabile unicamente come coltura personale - (e fra i più utili non posso indicare che Topera di Ulisse Forni, che, come Re- stauratore del Governo, di sé diede ottimi saggi) - mentre tale lettura gioverà a maggiormente persua- dere il Lettore della difficoltà di quest'arte, ed a non cimentarsi in essa se non ha la voluta preparazione.
ELENCO DEI PRINCIPALI PITTORI DI TUTTE LE SCUOLE
NOTANO A:
Ouest' Elenco e quelli che verran dopo non hanno e non potrebbero avere la pretesa di rispondere ad ogni domanda, come la mole stessa del volume, che dev'essere MANUALE, lo dice; ma, invece, hanno uno scopo pratico e pensato: quello di iniziare i Lettori a diventare ferventi raccoglitori di Monografie e di Opere maggiori d'arte a fine di studio e di consultazione. La grammatica è sempre il principio di una biblioteca.
Lo svolgimento ampio che questo Capitolo ha richiesto, e la necessità di dire il maggior numero di cose nel minore spazio possibile, ci obbligano a parlare solamente dei caratteri generali proprii ad ogni singolo artista, che valgano a far risaltare i loro particolari meriti ed a far distinguere le loro opere, senza entrare a discorrere dei particolari della vita di ognuno.
Siccome, poi, molti pittori hanno pure intagliato alcune opere loro senza essere propriamente Incisori di professione, oppure ebbero Vonore di vederle incise da altri, per le pronte ricerche e per rendere, in certo modo, più. ricca la Parte « Incisione», contrassegneremo con un * tali artisti in fine del periodo che li riguarda.
Le lettere O. P. voglion dire Opere Principali.
ABATE, V. Niccolò dell'Abate.
ABSHOVEN, Fiam. (n. in Anversa nel 1648, m. in patria nel 1690), allievo di Dav. Teniers il giovane, imitava bene la maniera del maestro.
ACHTSCHELLING Luca, Fian-'m. (n. a Bruxelles nel 1570, m. nel 1631), allievo di Vadder; buon pittore di paese; ha colorito buono, tocco largo.
io2 Pittura
ADRIAENSZEN Alessandro, Fiam. (n. in Anversa nel 1625, m. ivi nel 1685), grande imitatore della natura nel dipingere vasi, cristalli, pe- sci, fiori e simili oggetti.
AELSHEiMER, V. EIshaimer.
AELST E^verardo (Van), Ol. (n. a Delft nel 1602, m. nel 1658), buon pittore di soggetti inanimati, particolarmente di uccelli morti, di stru- menti da guerra, ecc.
AELST Guglielmo (Van), Ol. (n. a Delft nel 1620, m. in Amsterdam nel 1679), allievo di suo zio Kverardo Van Aelst, lo superò nel suo ge- nere, e sopratutto nei fiori e frutti. Viaggiò in Francia ed in Italia.
AERI Vander Neer V. Neer Arnoldo.
AERTSEN Pietro, detto Pietro il Lungo, Ol. (n. in Amsterdam nel 15 19, m. in patria nel 1572), allievo di Alaeret Claessen; dipingeva bene la storia e gli interni delle cucine con tutti i relativi arnesi.
AERTSZ Riccardo, detto Gamba di legno (n. nella Nord-Olanda nel 1482, m. nel 1577), allievo di Mostaert, ammesso all'Accademia di An- versa nel 1520, era buon pittore di storia; sue teste sono molto aggraziate.
ALBANI Francesco (n. a Bologna nel 1578, m. ivi nel 1660), apprese i principii della pittura alla scuola di Dionisio Calvart, come Guido Reni, il quale insegnò all'Albani quanto lo studio avevagli oramai fatto cono- scere. 1/ Albani e Guido entrarono, poi assieme nella scuola dei Caracci: quindi più volte si recarono a Roma, ove per la raccomandazione di Guido, l'Albani ebbe varie occasioni di segnalarsi. Annibale Caracci lo ebbe ad aiuto nelle sue pitture della Galleria Farnese e Guido Reni ne' suoi affreschi di Monte Cavallo. Fece un secondo viaggio a Roma ed un altro a Firenze nel 1633. Avendo in seconde nozze sposata una donna assai bella, ed avutine dieci figli, li fece servire per soggetti di Venere, di Ninfe e di Amori, ne' suoi temi di Mitologia, che sono stati l'ordinaria occupazione dei suoi pennelli. Dipingeva assai bene paesag- gi; poco però ha preso, nei suoi lavori, dall'antico. Il suo pennello fre- sco e pieno di grazia era più adatto ad idee brillanti, che a soggetti fieri e terribili. Il suo tocco è facile, il suo disegno è dotto, le sue atti- tudini ed i suoi panni di buona scelta: ha sommamente terminate le sue opere: le sue carnagioni sono di tinte sanguigne, ed ha con esito felice posto in pratica il chiaroscuro. Da alcuni critici è incolpato di es- sere freddo anziché no: di aver troppe volte ripetuti gli stessi soggetti, e di essersi soverchiamente servito dei modelli medesim.i. Trovasi talvolta nelle sue opere qualche scorrezione. Ha dipinto molti quadri grandi a fresco nella città e dintorni di Roma. In Bologna pure si trovano varie opere di lui; ed eseguì molti quadri sul cavalletto, essendo stato co- stretto a lavorare sino agli ultimi giorni di sua vita per campare. - Fra i molti suoi allievi si distinsero specialmente Pietro Francesco Mola, Gio. Batt. Mola, Gerolamo Borini, Carlo Cignani, Gio. Maria Galli detto il Bibbiena,
Jcnco dei Pittori
IO
AL DE GRAEF Enrico (n. a Soust in Westfalia), pittore ed incisore, fu allievo di Alb. Diirer. I,e sue pitture sono rarissime, essendo le prin- cipali nella chiesa della sua patria. I,e numerose sue stampe hanno propagata la sua fama: il suo disegno è corretto, ma si accosta alla foggia Gotica.
ALLEGRI Antonio, V. Correggio
Albani: Danza di amorini (Firenze, Galleria Corsini)
ALLORI Alessandro (Fiorentino, n. nel 1535, m. ivi nel 1607), im- parò i principii della pittura dal Bronzino suo zio e ci tenne a farsi chia- mare Bronzino essendo risultato di questi egregio allievo. Fece uno studio particolare dell'anatomia, il che lo rese valentissimo nel disegno. Molto intendeva il nudo: era pieno d'idee: il suo pennello è grasso e molle, ed i suoi quadri sono pieni di grazia. Le sue opere più stimate sono a Roma e Firenze. Egli ha dipinto con egual fortuna in ritratti ed in istoria. Il Cigoli è stato suo allievo.
ALLORI Cristoforo, (n. a Firenze nel 1577, m. nel 1621), apprese i principi dal suo padre, Alessandro, e studiò in seguito sotto Santi di Tito.
104 Pittura
Sedotto dalla nuova maniera del Cigoli e di Gregorio Pagani, si allon- tanò dal gusto della scuola Fiorentina per darsi tutto allo studio del colore. Esegui importanti lavori nelle chiese di Firenze e nel palazzo De' Medici, dipinse buoni ritratti, e le sue opere, molto pregiate e stu- diate con molto interesse, sono oramai rarissime. Anch'egli, come Ales- sandro suo padre, fu ambizioso del soprannome di Bronzino.
ALSLOOT Daniele (Van), Fiam. (n. in Bruxelles nel 1570, m. ivi nel 1620), era pittore dell'Arciduca Alberto: i suoi quadri sono pochissimo conosciuti in commercio.
ALUNNO Niccolò di Foligno, n. a Foligno. Si conoscono quadri di lui datati 1458 e 1499, e sembra che nel 1500 fosse ancora vivo. Secondo una tradizione, fu allievo di Bartolomeo di Tomaso di Foligno. Contem- poraneo del Perugino, ma più vecchio, non è provato che ne fosse al- lievo, come si è preteso. Tuttavia è probabile che le opere di questo abbiano su di lui avuta influenza del pari che quelle del Pinturicchio. E'nuovo nel compartimento dei colori e vivace nelle teste. Lasciò opere nella sua città ed in Assisi. I^ « Pietà » del duomo di Assisi è conside- rata la sua tavola migliore.
AMERIGHI, V. Michelangelo di Caravaggio.
AMICIZIA (V), V. Schuur Teod.
ANDREA DEL SARTO, V. Del Sarto.
ANDRIESSEN Enrico, Fiam. (n. in Anversa nel 1600, m. in Zelanda nel 1655): i suoi dipinti per lo più sono soggetti inanimati, ma scelti e composti con isquisitezza di gusto e con finitezza meravigliosa.
ANGELICO, V. Beato Angelico.
ANGUISSOLA, V. Sofonisba.
ANTIQUUS Gio., Ol. (n. a Groeningen nel 1702), fu in Italia, e di- morò lungamente in Firenze, poscia ritornò in patria. Era pittore di storia, disegnava bene, e dipingeva colla massima facilità: il suo stile è grandioso, il colorito brillante.
ANTONELLO DA MESSINA (sembra sia nato poco prima del 1240, e mori a Venezia nel 1496). È, fra gli Italiani, il primo pittore che abbia dipinto ad olio, e Gio. Van Eick di Bruges, che fu l'inventore di questo segreto, glie lo comunicò. È fama che Antonio facendo valere in Vene- zia questa scoperta che gli procurò molto nome, Gio. Bellini che gli era ignoto, andò a trovarlo in aria d'uomo nobile, e facendosi dipinger da An- tonio, che non si accorse dello strattagemma, venne a scoprire il suo segreto che quindi fu noto a tutti i pittori. In Fiandra soggiornò pochi mesi. Venne a Venezia e per esser persona tutta veneranda, come dice il Vasari, risolse di qui finire la vita. Fece parte spontaneamente del suo segreto a Domenico Veneziano circa il i45<>-
Sembra che, poi, girasse in più paesi, e che soggiornasse a lungo in Milano, ove divenne celebre. Reduce finalmente a Venezia, vi rimase fino alla morte.
Elenco dei pittori 105
APPEL Giacomo, Ol. (n. in Amsterdam nel 1680, m. ivi nel 1751), allievo di Timoteo di Graef e di Davide Vander Plas, fu pittore di ritratti e mediocre paesista.
ARTHUS Xeer (Vander), V. Neer Arnoldo.
ARTOIS Giacomo (Van), Fiam. (n. a Bruxelles nel 1613), allievo di Wildens, buon paesista, fu maestro di Huysmans da cui fu poscia per- fettamente imitato.
ARTVELT Andrea (Van), Fiam. (n. in Anversa nel 1570), dipingeva marine con molta verità; le sue burrasche sono bene espresse e con grande veemenza.
ASCH Gio. (Van), Ol. (n. a Delft nel 1603). Il suo maggior valore era nel dipingere paesi in piccolo, nel qual genere eguagliò i migliori paesi- sti del suo tempo.
ASSELIN Gio., 01. (n. nel 1610, m. in Amsterdam nel 1660), fu al- lievo di Isaia Vander Velde: viaggiò in Francia ed in Italia, ed in que- st'ultimo soggiorno strinse amicizia col Bamboccio, da cui ebbe consigli utili per l'arte sua e la cui maniera seguitò, aprendosi una via partico- lare studiando i dintorni di Roma e le sue antichità. Riputato e ricercato fu nella sua patria. Ha fatto moltissimi paesaggi animati da soggetti storici, da animali, e assai sovente adornati con begli edifizi: essi non sono gran fatto dissimili da quelli di Nicola Berghem per l'armonia delle sue tinte e per la trasparenza e limpidezza delle acque. Il suo colo- rito è fresco, vigoroso, assai armonico; le sue figure e gli animali son toccati con molto spirito e ben disegnati. Ha pure, con riuscita, dipinte varie battaglie. Ritornato in patria, fu uno dei primi riformatori della maniera verde-azzurrognola-turchina dei Breughel, dei Bril, dei Saverj^; e le scuole belghe approfittarono di questa riforma per crescere alla pa- tria grandi paesisti.
Molto stimati sono i suoi disegni, specialmente quelli nei quali ha copiato qualche bel punto di veduta. I,a maggior parte sono a lapis nero lavati con inchiostro di China. * Il Perelli ha inciso varii paesaggi di questo pittore. — V. pure alla voce Miei Gio.
ASSEN Gio. (Van), Ol. (n. in Amsterdam nel 1631), studiando sulle opere di Antonio Tempesta riusci mediocre pittore di storia e di paesi nella maniera italiana.
AUDRAN Claudio, fratello di Gerardo Audran intagliatore (n. a lyione, m. nel 1684 in età di 42 anni), fu discepolo del I^e Brim che assai volte lo usò in grandi opere che eseguiva con soddisfazione del maestro. Si è segnalato pei suoi rari meriti rispetto al disegno. Questi due fratelli lasciarono tre nipoti: Claudio Audran che esercitò la pittura, eccellente e famoso nei grotteschi e negli ornati, e che fu l'ultimo maestro di Wat- teau; Benedetto Audran m. nel 1721 in età di 59 anni, e Gio. Audran. * Questi due ultimi, discepoli del loro zio Gerardo, sono diventati ce lebri nell'intaglio.
loò Pittura
BAAN Giacomo, Ol. (n. a I^a Haye nel 1613, m. nel 1700), fu allievo di suo padre, trattò con lode la storia, e si formò un eccelente ritrattista: i suoi lavori raggiungono prezzi considerevoli.
BAAN Gio., 01. (n. in Harlem nel 1633, m. a I^a Haye nel 1702), al- lievo di Giacomo Backer, diventò uno dei migliori ritrattisti della scuola Olandese.
BABEUR Teodoro, Ol. (n. nel 1570, m. nel 1624), fu allievo di Pietro Neef: dipingeva nella maniera del suo maestro interni di chiese.
BACCIO BANDINELLi (n. in Firenze nel 1487, m. ini nel 1559), scul- tore e pittore: a tutta prima si diede interamente alla pittura, ma quan- tunque fosse eccelentissimo nel disegno, i suoi quadri pel difetto del colorito furono poco accetti: e si rivolse alla scultura in cui ebbe mag- gior merito. Noto a tutti è il Biancone, statua ordinata da Cosimo il I duca di Toscana. I suoi disegni sono sul gusto di Michelangelo, ma meno arditi e meno fieri. Francesco »Salviati da lui apprese i primi elementi dell'arte sua.
BACICI [Gio. Batt. Gauli soprannominato Bacici], (n. in Genova nel 1639, m. in Roma nel 1709), dapprima entrò nella scuola del Borgo- gnone, ma portatosi in Roma alla sola età di 18 anni, in breve si trovò in grado di dipingere opere grandissime, come si può vedere nella Cupola del Gesù a Roma. Dipingeva con facilità cosi grande, che può dirsi che la mano sua camminasse di pari colla rapidità del suo genio: aveva idee grandi ed animose e talvolta bizzarre. I^e sue figure hanno un prodigioso rilievo: era valente nel ben colorire, e singolarmente nel ri- durre dal grande al piccolo. Viene però dai critici incolpato di scorret- tezza nel disegno, e di gusto cattivo nel panneggiare. I^e opere sue più reputate sono le prime. I suoi disegni sono vivacissimi, di tocco leggiero e pieni di brio. * Esistono di lui alcuni ritratti intagliati dagli originali.
BACKER Adriano, Ol. (n. in Amsterdam nel 1643, m. ivi nel 1686), viaggiò in Italia, e fu bravo disegnatore del nudo.
BACKER Giacomo, Fiam. (n. in Anversa nel 1530, m. ivi nel 1560), allievo di suo padre, dipingeva bene la storia e fu aiuto di Enrico Steen- v^^'ck.
BACKER Nicola, Fiam. (n. in Anversa nel 1648, m. a lyondra nel 1689), viaggiò in Inghilterra, e fu allievo di Kneller, sotto cui divenne buon ritrattista.
BACLEN Gio. (Van), Fiam. (n. in Anversa nel 161 1, m. ivi nel 1653), allievo di suo padre Enrico ch'ei quasi eguagliò prima di venire in Ita- lia. Ritornato in patria mai abbandonò la maniera di dipingere di suo padre, di cui fu meno corretto nel disegno. I suoi dipinti consistono presso che tutti in cose minute.
BADENS Francesco, Fiam. (n. in Anversa nel 1571, m. ivi nel 1628), allievo di suo padre, venne in Italia ove si formò bravo disegnatore e buon colorista. Il suo tocco è morbido e leggiero.
Elenco dei pittori 107
BAGNACAVALLO, V. Ramenghi Bartol.
BAILLY Davide, Ol. (a. a I^eyden nel 1590, m. ivi nel 1642), fu al- lievo prima di suo padre, poi di Giacomo Gheyn, di Adriano Verbught e di Cornelio Vander Voort. Viaggiò in Germania ed in Italia, dove molto imparò. Dipingeva bene i ritratti, ma lasciò poi i pennelli per disegnare a penna.
BAKEREEL Guglielmo e Gilles, fratelli Fiam. (n. in Anversa l'uno nel 1570, l'altro nel 1572); il primo mori in patria, e fu pittore di paesi il secondo morì a Roma, e fu pittore di storia.
BAKHUYSEN Ivuigi o Ludolfo, Ol. (n. ad E:mbden nel 1631, m. in Amsterdam nel 1709); fu pittore ed intagliatore. Il suo ingegno l'indusse alle sue prime fatiche, e le opere venivano ricercate quand'anche non avesse ancora appresi gli elementi dell'arte sua. Coltivò quindi le sue na- turali disposizioni ed ebbe la sorte di esservi addestrato da buoni mae- stri, fra cui citiamo Aldert Van Everdingen. Consultava assai spesso la natura, e nelle sue opere con esattezza la rappresentava; si rese famoso per le sue vedute di mare e più specialmente per le sue tempeste che of- frono una verità rara e tanto più difficile ad afferrare inquantochè è ne- cessario che la memoria secondi le osservazioni davanti ad un modello di continuo agitato e vario. Nessun pittore l'ha superato nella limpidezza dell'acqua, nella sua trasparenza ed agitazione: nessimo rese con pen- nello più fluido il colore e lo spazio delle zone aeree. I principali regnanti andavano a gara nel possedere opere di suo pennello. I Borgomastri di Amsterdam presentarono a I,uigi XIV in omaggio una grande marina la quale si può citare come capolavoro di quest'artista, rappresentante la squadra Olandese composta da dieci vascelli da guerra sotto vela, facenti strada di conserva. Soave è il suo colorito, esatto il suo disegno, e piene di vivacità le sue composizioni, I suoi disegni a penna sono ra- rissimi. * Ha inciso ad acqua forte alcune vedute marittime. — I suoi quadri raggiungono prezzi assai considerevoli.
BALEN Enrico (Van), Fiam. (n. in Anversa nel 1562, m. ivi nel 1638), allievo di Adamo Van Oort, venne in Italia, dove molto apprese, e fu sem- pre occupato. Disegnava e dipingeva ottimamente il nudo. I^e sue com- posizioni sono maestose; sapeva raggruppar bene le sue figure e dar loro molta grazia ed eleganza. Né manca di bel colorito e brillante.
BALEN Gio., Fiam., imitatore di suo padre, Enrico Balen, da lui non differiva fuorché nella minore correttezza del disegno.
BALTEN Pietro, Fiam. (n. in Anversa nel 1540, m. ivi nel 1588), i- mitatore di Breughel detto di Velluto, rappresentava fiere e feste cam- pestri fiamminghe, e toccava con ottimo gusto le piccole figurine. Fu ammesso all'Accademia di Anversa nel 1579.
BAMBOCCIO, V. Pietro Laar.
BANOINELLI BACCIO, V. Baccio Bandinelli.
BARBA DI BECCO, V. Du Jardin.
io8 PitUira
BARBARELLI Giorgio, V. Giorgione.
BARBIERI Francesco, V. Quercino.
BARBUTO (II), V. Vermeyen.
BARENI, V. Vati Orley Bernardo.
BARENTSEN Dirck, Ol. (n. in Amsterdam nel 1534, m. ivi nel 1592), allievo di suo padre che si chiamava Bareni il Sordo, si recò a Venezia alla scuola del Tiziano, e diventò pittore storico assai reputato, singo- larmente nei ritratti ch'egli faceva secondo la maniera del suo maestro. Disegnava bene il nudo, e le sue composizioni sono robuste e piene di vigore.
BAROCCI Federico [Fiori Federico, detto Baroccio], (n. in Urbino nel 1528, m. ivi nel 161 2), apprese il disegno da suo padre scultore e dal proprio zio architetto, poscia fu preso sotto la protezione del Cardinale Della Rovere all'età di soli vent'anni, e da lui impiegato nel proprio pa- lazzo. Ha fatto molti ritratti e molti quadri storici, ma riusci meglio nei quadri di soggetti religiosi. Si avvicinò molto alla dolcezza ed alla grazia del Correggio: e quanto alla esattezza del disegnare lo ha superato: florido è il suo colorito, ed ha molto bene intesi gli effetti della luce: le sue arie di testa sono di un genio ridente e tutto grazia. Mostrava inoltre molto sapere nelle sue composizioni. Sarebbe desiderabile ch'egli non avesse troppo soverchiamente espresse le parti del corpo. Tuttavia è uno dei migliori pittori ch'abbia avuto il mondo. Fra i suoi discepoli il Vanni ha meglio di tutti imitata la sua maniera.
Del Baroccio vi hanno dei disegni a pastelli, a penna, a lapis rosso e nero. * vSono stati fatti intagli delle sue opere, ed egli stesso ne ha fatti varii all'acqua forte.
BARTELS Gherardo, Ol. (n. nel 1570), era buon pittore di storia e faceva rapidi progressi nell'arte sua, quando fu per disgrazia schiacciato da enorme sasso.
BARTOLETTO FLAMEEL (n. a I^iegi nel 1612, m. ivi nel 1675). Cano- nico della Collegiata di S. Paolo, allievo di Jacopo Giordani, si portò a Parigi, dove fu fatto accademico. Può rilevarsi il gusto e l'ingegno di lui dal suo quadro Elia Profeta rapito in cielo, che ha rappresentato nel Duomo dei Carmelitani Scalzi di Parigi. È pure autore déìV Adora- zione dei Re magi nella sacrestia degli Agostiniani, e di una vaga veduta delle Tuileries.
BARTOLOMEO, V. Breenberg.
BARTOLOMEO DI S. MARCO [fra']. Fra' Bartolomeo del Fattorino, detto Baccio della Porta, o II Frate, (n. nel villaggio di Savignano presso Firenze nel 1469 morto nel convento di San Marco a Firenze nel 1517)- Entrò nella scuola di Cosimo Rosselli a Firenze. Dimorò in casa di pa- renti sette anni presso la porta di S. Pietro Gattolini per cui ebbe il soprannome di Baccio della Porta.
Innamoratosi della maniera di I^eonardo Da Vinci, lo studiò profon-
Elenco dei Pittori 109
damente. Avendo conosciuto alla scuola del Rosselli Mariotto Alberli- nelli, suo allievo, si legò a lui di amicizia ed eseguirono assieme molte pitture. Sedotto dalla predicazione del Savonarola, gettò sul rogo che ar- deva in piazza tutti i suoi studi di nudo ed altre sue opere eccellenti, come anche fece il Credi. Nel 1500 entrò nell'ordine dei domenicani, e da quest'epoca fu noto col nome di Fra' Bartolomeo. Durante quattro anni lasciò completamente la pittura, e non la riprese che per insistenza dei confratelli e degli amici. Nell'ottobre del 1506 Raffaello trovandosi a Firenze, strinse amicizia col Frate, ed operarono assieme scambiandosi fra di loro i segreti dell'arte, per modo che gli ultimi suoi quadri furono attribuiti al primo. Fece un viaggio a Venezia nell'aprile del 1508, fu incaricato dai domenicani di Murano di dipingere un quadro per la loro chiesa, ma non lo eseguì che al suo ritomo a Firenze. Sui primi del 1509 si uni di nuovo a IVIariotto Albertinelli, ed eseguirono assieme molte opere durante tre anni. Nel gennaio del 15 12 si separarono, e le pitture ch'ei fece da solo si distinguono per forza di chiaro scuro, vigore di tono, che rivelano in lui uno studio profondo delle opere di Leonardo e dei mae- stri Veneti. Verso il 15 12 si recò a Roma, ma vi rimase poco, lasciando incompiuto un quadro che terminò poi Raffaello. Ritornato a Firenze, cercò d'ingrandire suo stile imitando l'ampiezza dei contorni del Buo- narroti; ed è in questa maniera michelangiolesca ch'egli dipinse il suo famoso San Marco, e che esegui a Trucca, a Pistoia, a Prato, quadri mera- vigliosi. — Furono suoi allievi Cecchino del Frate, Benedetto Cianfanini, Gabriele Rustici, Fra' Paolino da Pistoia e Ridolfo del Ghirlandaio. — È stato imitato da Mariotto Albertinelli e Gio. Ani, Soglìani, allievo di Lo- renzo Credi.
BASSANO FRANCESCO (Francesco Da Ponte), padre di Iacopo, n. a Vicenza verso il 1475, m. a Bassano verso il 1530 fu imitatore di Gio. Bellini. Sapeva di lettere e filosofia, per cui potè degnamente istruire il figlio. Primamente fu esatto, ma secco, come nel S. Bartolomeo nel duomo di Bassano, poi divenne più pastoso da parer quasi un pittor moderno. Negli ultimi anni di sua vita si diede allo studio dell'Alchi- mia, consumando ogni suo avere.
BASSANO Frane, (m. in Venezia nel 1594 in età di 44 anni), figliuolo maggiore di Iacopo; più dei fratelli si è avvicinato al padre: era uomo di grandissimo ingegno, e la sua gran fama fece ch'ei lavorasse nel Palazzo di S. Marco in concorrenza col Tintoretto e con Paolo Veronese.
BASSANO [Iacopo da Ponte, noto sotto il nome di], (n. in Bassano nel Veneto nel 15 io, m. a Venezia nel 1592), apprese gli elementi del- l'arte sua da suo padre Francesco Bassano; ma le opere del Tiziano e del Parmigianino e, più che altro, lo studio della natura svilupparono il suo ingegno. Ha assai volte difettato rispetto alla nobiltà ed eleva- tezza delle sue idee: è pure desiderata nelle sue opere maggiore eleganza
no Pittura
e miglior gusto nei panneggiamenti; ma nessun maestro lo ha superato in verità. Fermo e pastoso è il suo pennello, ed i suoi tocchi son tutta ar- ditezza e maestria: i suoi colori locali poi son bene intesi: le sue carna- gioni sono vere, ed era eccellente nei ritratti e nei paesi. Ha ritratti vari soggetti notturni: aveva tanta difficoltà a dipingere le mani ed i piedi, che queste parti assai volte sono nascoste dentro il quadro, sebbene senza affettazione. Ha compiuto un prodigioso numero di quadri che di solito faceva vendere da mercanti, cosa che spiega com'essi siano dispersi in tutta Italia non solo, ma in tutta Ruropa: e Tiziano tanto li stimava che ne comprò molti. I disegni del Bassano sono per lo più sforzati ed indecisi, e si ravvisano alle lor figure rozze e da una foggia d'acconciare sua particolare. I^asciò quattro figli: Francesco, Leandro, Gio. Batti- sta e Girolamo, che furono tutti suoi discepoli. I due ultimi si sono sola- mente accontentati di copiare e moltiplicare i quadri del padre: gli altri due, però, sono più reputati. * Delle sue opere sono stati fatti intagli.
BASSANO lycandro (n. a Bassano nel 1558, m. in Venezia nel 1623) secondogenito di Iacopo, aveva minore ingegno del fratello Francesco rispetto al fare storico, ma riusci mirabilmente nel far ritratti, al qual genere si diede in modo speciale.
BASSANO Girolamo, altro figlio di (Jacopo, n. a Bassano nel 1560, m. nel 1622), imitò sopratutto la maniera del fratello I^eandro.
BAUDOVIN, V. Baut.
BAUR Gio. Guglielmo (n. a Strasburgo nel 1610, m. a Vienna nel 1670), pittore ed intagliatore. Si pose sotto la disciplina di Federico Brendello, che lavorava in piccoli soggetti a guazzo. Il Baur imitò il gu- sto del suo maestro, e si diede similmente a dipingere a guazzo in per- gamena. Ha con felicità toccati i paesi, ed ha con tutta l'arte possibile espressa l'architettura, I soggetti ordinari dei suoi quadri sono vedute, processioni, maree, tempeste, cavalcate, combattimenti. Ravvisasi nelle sue opere molto fuoco, assai forza e tutta la verità. lyC sue figure sono piccole ed alquanto goffe, ma si muovon bene, hanno una singolare espressione, ed il suo tocco è leggero e vivacissimo. Malamente disegnava il nudo. * Ha intagliato con una punta estremamente fine, con molta leggierezza e vivacità. I^e sue stampe sono numerosissime e i suoi soggetti assai varii. In modo speciale si pregiano le serie delle metamorfosi ed i soggetti cavati dalla S. Scrittura. * Sono pure state intagliate diverse o- pere di lui. — Suo discepolo è stato Francesco Goubeau d'Anversa, che si è segnalato seguendo la maniera di Giov. Miei e del Bamboccio.
BAUT Francesco, Fiam. (n. in Bruxelles nel 1660), dipingeva ottima- mente e con gran maestria piccole figure nel genere di Breughel e di Teniers
BAUT Pietro e BAUDOVIN erano due pittori Fiam. unitisi nel la- voro, e ad imitazione di Both Giovanni ed Andrea, il Baudovin ritraeva paesi ed il Baut li adomava di piccole figure. Dipingevano per lo più
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Elenco dei Pittori 113
in piccolo, soggetti lieti e di passatempo. Questo Baut non era parente di Francesco Baut né dei fratelli Both (e ciò diciamo perchè a causa della pronuncia dei loro nomi non nasca dubbio né confusione): né aveva pari ingegno, come anche dello stesso valore non sono le costui opere.
BEATO ANGELICO. Frate Giovanni Angelico, al secolo Guido o Gui- dolino, n. nel 1387 da un Piero, di cui non si conosce il nome, in Vicchio di Mugello, Toscana, in quell'amena vallata, e proprio non lungi da Ve- spignano dove nacque Giotto. Dagli scrittori delle diverse epoche venne chiamato Frate Giovanni da Fiesole, Beato Angelico, Frate Angelico, Frate Giovanni. I^o si credette allievo di G. Stamina, o di Gentile da Fabriano: ma non è possibile accertare ch'egli abbia avuto un maestro vero e proprio : e se mai qualcuno possa averlo iniziato all'arte, infon- dendogli il sentimento e l'indirizzo proprio, questi potrebbe essere il Ca- maldolense Lorenzo Monaco. Entrò nel 1407 nel convento di San Dome- nico di Fiesole, e lo lasciò nel 1409 per entrare in quello di Foligno. Di là si portò a Cortona; ritornò a Fiesole nel 1418, e vi restò iS anni. Chia- mato a Firenze da Cosimo De Medici, nel 1436, vi rimase 9 anni, compiendo il suo capolavoro: gli affreschi del convento di San Marco. Il papa Eu- genio IV lo chiamò a Roma nel 1445, e vi lavorò nella cappella papale. Nel 1447 attese a decorare il Duomo d'Orvieto, senza però terminare l'opera sua. Ritornò ancora a Roma dove lavorò per NicolaV in un'al- tra cappella, e vi esegui ammirevoli miniature per diversi corali. Frate Giovanni condusse una vita delle più sante, che si riflette in tutte le sue opere. Il suo stile é dolce, gradevole, primitivo. I^e teste de' suoi angeli e santi sono di una bellezza soprannaturale. Il colore è soave, ben fuso, benché a tempera. Il suo pensiero religioso è di una semplicità, di una ingenuità e di una fede incomparabili : sguardo celeste, espressioni divine. Venne, quindi, a ragione chiamato il pittore degli angeli. Egli ha forme convenzionali, é vero, ma negli affreschi questi viziosi effetti scompaiono quasi del tutto, per dar luogo ad un disegno più libero, ad una espressione più viva, ad un carattere più vigoroso. Non usa il colo- rito chiaro, diafano, per insufficienza di abilità tecnica, ma per avvici- narsi maggiormente all'idea delle celestiali visioni, e per riuscire ad una specie di simbolismo pittorico religioso. I^' Angelico, anche quando deve rappresentare scene di passione, mitiga con la dolcezza del sentimento la violenza dei movimenti, poiché l'ira e lo sdegno a lui erano cosa ignota. Dopo una vita tutta dedicata all'arte ed alla glorificazione di Dio, nel 1455, all'età di 68 anni Frate Angelico cessava di vivere in Roma. Nella chiesa della Minerva, dove fu sepolto, gli fu eretto un monumento marmoreo colla sua effigie ed una iscrizione che si vuole dettata dallo stesso pon- tefice Niccolò V.
Ebbe un fratello. Benedetto, morto nel 1448, in età di 59 anni, che fu frate con lui, coltivò pure la pittura, ma fu, sopratutto, abile miniatore di libri sacri.
8 — Sarasino.
114 Pittura
BECCAFUMI Domenico, detto Micarino da Siena (n. presso Siena nel 1484, m. nel i549)- Dapprincipio si diede a copiare alcuni quadri del Perugino, poscia si recò a Roma ove studiò le opere di Raffaello e di Michelangelo: ha fatti molti quadri ad olio e ad acquerello; ma l'opera ond'egli è più famoso è il prodigioso pavimento del duomo di Siena. Kra pure eccellente scultore e sapeva anche fondere i metalli. * Ha inciso in legno alcuni suoi disegni assai reputati.
BÉEK Davide, Ol. (n. a Delft nel 1621, m. a I.a Ha\^e nel 1656), fu allievo di Antonio Van Dyck, e divenne uno dei migliori di quella scuola. Viaggiò in Inghilterra, in Francia, nella Danimarca e nella Svezia. Fu buon pittore di storia, e sopratutto di ritratti.
BEELDEMAKER Francesco, Ol. (n. a lya Haye nel 1669, m. presso a Rotterdam nel 1748), allievo di suo padre Giovanni e di Guglielmo Doudyns, viaggiò in Italia, e fu chiamato dalla Banda Accademica ìa Scimia. Fu valente pittore in diversi generi specialmente nel dipingere caccie, ad imitazione di suo padre, ma con minore robustezza.
BEELDEMAKER Gio., Ol. (n. a I^a Haj^e nel 1636, m. in Amsterdam nel 1669) dipingeva cacce al cervo ed al cinghiale nel genere e gusto di Snej'ders, ed eseguì piccoli quadretti ben terminati e di un bel colorito.
BEER Arnoldo, Fiam. (n. in Anversa nel 1490, m. ivi nel 1542), ebbe fama a' suoi tempi di eccellente disegnatore, e fu aggregato al Corpo Accademico dei pittori di Anversa. I suoi quadri rarissimamente appa- iono in commercio.
BEER Giuseppe, Ol. (n. in Utrecht nel 1550, m, ivi nel 1596), fu allievo di Franco Floris, e si segnalò nel genere storico.
BEERINGS Gregorio, Fiam. (n. a Malines nel 1500, m. nel 1544), venne giovanissimo in Italia, e vi fece molti progressi nell'arte sua. Il suo genere era la storia, ma operò poco.
BEGA, V. Begyn.
BEGYN Abramo, Ol. (n. nel 1650, m. a Berlino nel 1708), fu uno dei migliori imitatori di Berghem. Per lo più le sue vedute sono prese dal vero: era molto abile nell'architettura e nella prospettiva. Aveva un pennello facile e robusto, e regna molta soavità ne' suoi deliziosi paesi. Le sue opere raggiungono prezzi elevati.
BEGYN Cornelio. Ol. (n. in Harlem nel 1620 e m. ivi nel 1664), fu pit- tore ed intagliatore. Suo padre era scultore. I^a sua cattiva condotta lo costrinse a lasciar la casa paterna prendendo il nome di Befla. Fu uno dei migliori allievi di Adriano Van Ostade di cui prese la maniera ed era al pari di lui ingegnoso: rappresentava stanze di fumatori, taverne, riu- nioni di contadini, conversazioni ed altri simili soggetti. Il suo tocco è morbido, senza aridità. * Il gusto di questo autore si può rilevare da una stampa che il Chem ha fatta pubblica, cavata da un quadro che è detto il Pittore od il Curioso: i suoi intagli ad acqua forte sono ricercati come lo sono pure i suoi quadri, i quali raggiungono somme considerevoli.
Cornelio Begyn, o Bega: Danza tn un villaggio (Dresden, Kgl. Galene)
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Elenco dei Pittori 117
BELLINI Gentile, (n. a Venezia nel 142 1, m. ivi il 23 febbr. 1507). - Suo padre, Jacopo Bellini, n. a Venezia, gli diede il nome di Gentile in ricordo di Gentile da Fabriano, di cui era stato allievo. Gli insegnò la pittura, Girolamo Mattini lo ammaestrò nella prospettiva, ed Andrea Mantegna (che sposò la figlia di Jacopo) fini di formarlo. Dopo aver lavorato in una cappella di Padova con suo padre e col fratello Giovanni, ritornò a Ve- nezia e cominciò assieme a quest'ultimo la decorazione della sala del gran consiglio. Maometto II avendo domandato un buon pittore alla re- pubblica. Gentile vi fu scelto dal senato ed inviato a Costantinopoli il 3 sett. 1479. Ivi dipinse molti ritratti e fece i disegni per la colonna di Teodosio (che fu incisa 3 volte: la i'^, a Parigi nel 1702 a cura di Claude- Fr. Menestrier, gesuita). Creato cavaliere, riccamente ricompensato, ritornò a Venezia. Appena vi giunse, riprese i suoi lavori del palazzo ducale, che perirono nell'incendio del 1577, e fece un gran numero di pitture per diverse medaglie da lui modellate, di cui una rappresenta l'imperatore dei turchi.
BELLINI Giovanni, fratello di Gentile, (n. a Venezia nel 1426, m. ivi il 15 nov. 1516), fu pure allievo di suo padre Jacopo, ed ebbe consìgli dal Mantegna. Fece rapidi progressi, ed un quadro suo datato 1443 (non aveva che 17 anni) ne è prova. Dopo aver lavorato co' suoi parenti a Pa- dova ritornò a Venezia ed esegui parecchie pitture a tempera che furono molto ammirate. È diffusa la leggenda che fosse lui a diffondere la pra- tica della pittura ad olio della quale aveva appreso il segreto facendosi fare il ritratto da Antonello da Messina, segreto che questi aveva ap- preso da Giovanni di Bruges o da Van Eyck. Fatto che è lungi dall'aver carattere di autenticità, poiché Antonello non faceva mistero del suo segreto, ed ebbe a Venezia una quantità di allievi. Fra il gran numero di opere di ogni genere eseguite da Giovanni, le sue pitture nelle sale del palazzo ducale, attorno le quali spese 12 anni, furono specialmente ce- lebri. E)sse pure furono preda dell'incendio del 1577 con tanti altri ca- polavori. Questo grande artista è considerato a buon titolo come il prin- cipale fondatore della Scuola Veneta. A 62 anni divenne il maestro del Giorgione e di Tiziano. I progressi de' suoi illustri allievi l'animarono di un nuovo ardore: ingrandi la sua maniera, e le sue migliori opere sono quelle ch'egli esegui da quest'epoca sino alla sua morte che sopravvenne all'età di 90 anni.
BELLINI Jacopo (n. sui primi del sec. XV», operava nel 1459). Nobile cittadino Veneto, fu allievo di Gentile da Fabriano, e padre di Gentile e di Giovanni, era pittore stimato specialmente pei ritratti; ma ebbe più fama dall'eccellenza dei figli. Altri parecchi artisti hanno portato il nome di Bellini, e fra essi Bellino Bellini della stessa famiglia, e An- drea Bellini di cui si cita una testa di Cristo a guazzo, recante firma.
BEMMEL (Van) Guglielmo, Ol. (n. in Utrecht nel 1602, m. a Nusem- berg nel 1662), fu allievo distinto di Zaft-IyCven, venne in Italia per tempo,
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Pittura
ove viaggiò dipingendo vedute e cascate d'acqua. I soggetti ch'ei prese a trattare sono ameni, di buon gusto e pieni di verità.
Giovanni Bellini: Madonna (Milano, Collezione del Principe Trivulzio)
BENEDETTO CASTIGLIONE detto il Grechetto, (n. in Genova nel 1616, m. in Mantova nel 1670) fu pittore e intagliatore. In varii tempi successivi passò nelle scuole di tre differenti maestri, poiché Gio. Batt. Paggi gli die i primi elementi della pittura, Andrea Ferrari vieppiù lo coltivò ed il Van Dyck durante il suo soggiorno a Genova lo perfezionò.
Elenco dei Pittori 119
In seguito studiò sui grandi Maestri nei viaggi ch'egli fece a Roma, Na- poli, Firenze, Parma, Venezia e Mantova, nella quale città fissò sua di- mora fino agli ultimi anni di sua vita. Egli nulla trascurava per rendersi famoso nell'arte sua. Sorprendono gli studi ch'ei fece delle -opere de' più reputati maestri dell'antichità, che hanno adomata Roma, Napoli, Firenze, Parma e Venezia; ed in tutte queste città lasciò prove del suo ingegno che abbracciava tutte le parti della pittura; ed invero trattava in modo parimenti perfetto la storia, il ritratto ed il paese; ma il suo gu- sto lo rendeva più propenso a rappresentar scene pastorali, marce, ani- mali; ed in questo genere non vi ha chi l'abbia superato. I,a delicatezza del suo tocco, l'eleganza del suo disegno, la bellezza del suo colorito, e più che altro la perfetta intelligenza del chiaroscuro, fanno pregevolis- simi i suoi quadri. Era solito per lo più a colorire i suoi disegni ad olio sul cartone, e questi dagli intelligenti sono assai cercati. I^e principali opere di lui sono in Genova. * Ha pure inciso ad acquaforte vari pezzi, nei quali è mirabile l'effetto brillante del chiaro-scuro, che ricorda le belle opere di Rembrandt. Essi sono incisi con pimta facile, pittoresca, e condotti con gusto e grande spirito. Sono pure state intagliate varie sue opere. — I suoi due figliuoli, Francesco e Salvatore sono stati suoi scolari ma a lui di gran lunga inferiori. Essi hanno fatto un gran nu- mero di quadri che spesso vengono attribuiti a Benedetto.
BENOZZO GOZZOLI, (n. a Firenze nel 1424, viveva ancora nel 1485). Suo nome vero è Benozzo di Lese di Sandro, il nome di Gozzoli, sotto cui più specialmente è noto, non si trova nella i^ edizione del Vasari, che lo chiama solamente Benozzo. Egli firmava Benotius Florentinus, Benotius de Florentia e Benotius Lesi. Fu allievo di Fra Giovanni da Fiesole, con cui lavorò ad Orvieto nel 1447, e di cui imitò lo stile nelle pitture che fece da 1450 al 1452 nelle chiese di San Fortunato e di San Francesco di Monte Falco, piccola città dell'Umbria. Dipinse in seguito in maniera meno castigata a Firenze e dintorni. I^'opera sua più importante è quella ch'ei fece pel camposanto di Pisa. Fece a fresco su di un muro che occupa tutta la lunghezza dell'edifizio una serie di 24 soggetti dell'Antico Te- stamento, impresa colossale cominciata nel 1469 e terminata nel 1485. I Pisani gli innalzarono, mentr'egli era ancor vivo, una tomba nel mezzo del camposanto colla data di 1478.
Fra i suoi allievi si conta Zenohio de' Machiavelli. * Il Lasinio ha in- ciso suoi quadri dal 1805 al 1807.
BENT Gio. (Vander), Ol. (n. in Amsterdam nel 1650, m. ivi nel 1690), fu allievo di Filippo Wouwermans e di Vanden Velde. Dipingeva nella loro maniera paesi, figure ed animali.
BERC KENANS Enrico, Ol. (n. a Clunder presso Willemstad nel 1690, m. a Middelbourg), fu allievo di Filippo Wouwermans, di Tommaso Willeborts e di Giacomo Jordaens. Diventò grande pittore di storia, che poi lasciò per dipingere ritratti.
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BERCKHEYDEN Giobbe e Gherardo, fratelli, Ol. (Giobbe n. in Har- lem nel 1643, e Gherardo nel 1645; il primo m. nel 1698, il secondo nel 1693). Giobbe dipingeva ritratti e feste di contadini nel gusto di David Teniers; Gherardo interni di città e di chiese che sono stimatissimi. Fu- rono impiegati insieme alla Corte dell'Elettore Palatino.
BERG Mattia (Vanden), Fiam. (n. a Ypres nel 1615, m. in Alkonaer nel 1647), fu uno dei migliori allievi di Rubens, specialmente nel disegno.
BERGEN Nicolao (Van), Ol. (n. a Breda nel 1670, m. ivi nel 1699), era pittore di storia segnalatissimo nel gusto e nella maniera di Rem- brandt.
BERGHEM Nicola, Ol. (n. in Harlem nel 1620, m, in Amsterdam nel 1683), fu pittore ed intagliatore. Suo padre chiama vasi Klaasse, o più comunemente Pietro Van Harlem, e Berghem non è che un sopranno- me. Fu allievo di suo padre, di Gio. Van Goyen, di Nicola Moyaert, di Pietro Grebber, e di Gio. Batt. Weéninx, i quali tutti superò col suo ingegno e nella fama. I^a sua facilità nell'eseguire sbalordiva, e per lui la pittura sembrava un trastullo. Il castello di Beuslem, ov'egli ha pas- sata la maggior parte dei suoi anni, gli somministrava molte belle e varie vedute ch'egli disegnava dal vero: ha pure dipinto questo castello e i suoi dintorni in più d'uno de' suoi quadri. Era d'indole mite e timida. È uno dei migliori paesisti, e le sue opere sono ammirabili per la dovizia e varietà delle loro composizioni per la verità e l'incanto del loro colorito, per la libertà ed eleganza del tocco, per alcuni effetti vivacissimi di luce, per la gran valentia nel dipingere il cielo e per l'arte e lo spirito con cui ha disegnato gli animali. Ne' suoi quadri poi è degno di nota speciale il fatto che il suo brillante e luminoso colorito si è conservato fino ai di nostri senza la menoma alterazione. Non vi è galleria in Europa che non possegga almeno un quadro di lui: tuttavia, malgrado la grande quantità di dipinti che il suo fecondo genio produsse, rarissimamente se ne trovano in commercio anche ad alto prezzo: si trova invece talvolta qualche suo quadro inferiore e di quelli appena abbozzati. * Delle sue opere sono stati fatti intagli, ed egli stesso ha inciso ad acqua forte animali ed al- cuni paesi.
BERGHEN Dirck (Vanden), Ol. (n. in Harlem nel 1650, m. in Am- sterdam nel 1708). Fu allievo di Adriano Vanden Velde, e paesista di gran merito. Dipingeva nel gusto del suo maestro paesi ed animali con istupendo colorito, e disegnava a perfezione il bestiame bovino. Un tocco leggiero e spiritoso, un colorito fluido e vivace sono i pregi di questo grande artista.
I suoi quadri raggiungono prezzi considerevoli.
BERNINO Gian I^orenzo, detto il Cavaliere (n. in Napoli nel 1598, m. in Roma nel 1680), fu pittore, scultore ed architetto; le sue opere hanno un'eleganza ed un'espressione degna degli antichi.
BERRETTINI Pietro, V. Cortona.
Nicola Berghem: Riiine Italiane (Amsterdam, Rijksmiiseum)
Elenco dei Pittori 123
BERTIN Nicola (n. a Parigi nel 1667, m. ivi nel 1736). Questo pittore figlio e fratello di scultore, apprese gli elementi dell'arte sua da Vernan- sal il padre, da Jouvenct e Boullogne il maggiore. All'età di soli 18 anni guadagnò il primo premio di pittura. Vide Roma, fu in I^ombardia, ed in queste famose scuole apprese la correzion del disegno e la vaghezza del colorito. Si era fatta una maniera di dipingere forte, dilettevole e compita, ma più che altro riusciva mirabilmente nei quadretti, la cui varietà dei soggetti poco al suo fecondo immaginare costava. Fece di- pinti in Parigi nella chiesa di S. lyOU, nella Badia di S. Germano de' Prati e nelle camere dell'Accademia. * Delle sue opere sono stati fatti pochi intagli. — Il Tequé, famoso ritrattista, fu suo discepolo.
BEUCKELAER Gioachino, Fiam. (n. in Anversa nel 1530 ed ivi m. nel 1570), allievo di Pietro Aertsen denominato Pietro il Lungo, fu buon pittore nel genere di uccelli, di pesci, e d'altri animali. Il suo colorito è vero, il suo tocco è morbido, armonioso, trasparente.
BIANCHI Pietro (n. in Roma nel 1694, m. ivi nel 1739) abbracciò tutti i generi e dipinse con eguale riuscita soggetti di storia, paesi, ritratti, marine ed animali. Vigoroso è il suo colorito, ed esatto il suo disegnare. Abbiamo di lui opere ad olio, a fresco, e ad acquarello; ciò ch'egli ha fatto di più considerevole è in Roma. Dei suoi scolari è divenuto famoso Gae- tano Sardi.
BIBBIENA [Ferdinando Galli detto il], (n. in Bologna nel 1657, m. ivi in età di oltre ad 80 anni), fu pittore ed architetto, e soprannomi- nato Bibbiena dal luogo in cui nacque suo padre. Il Cignani fu suo pri- mo maestro e protettore. ;Ebbe uno speciale ingegno per l'architettura, per le decorazioni dei teatri e generalmente per la prospettiva, ed era cercatissimo. Scrisse due opere sull'architettura.
BIE Adriano, Fiam. (n. a I^ière nel Brabante nel 1594, m, ivi nel 1652), allievo di Vautier Abts, dipingeva in piccolo con molta accuratezza.
BIESELINGHEN Cristiano Gio. (Van), Ol. (n. a Delft nel 1550, m, in Madrid nel 1599), fu uno dei migliori ritrattisti del suo tempo e primo pittore di Corte del re di Spagna.
BISET Carlo F,manuele, Fiam. (n. a IVIalines nel 1633, m. a Breda nel 1685), giovanissimo andò a Parigi, dove furono molto apprezzati i suoi dipinti. Di ritomo in patria, fu fatto direttore dell'Accademia di Anversa nel 1674. Il suo tocco è fino e leggiero, il colorito un poco bigio, e dipin- geva con gran diligenza l'architettura.
BISSCHOP Cornelio, Ol. (n. a Dort nel 1630, m. ivi nel 1674), allievo di Ferdinando Boi, dipingeva bene la storia, ed in particolare i ritratti.
BISSCHOP Gio., 01. (n. a I,a Haye nel 1646, m. ivi nel 1686), dipin- geva all'acquarello su carta bianca copiando i quadri di Rubens, di Paolo Veronese, del Tìntoretto, del Bassano e di Van Dyck.
BLANCHARO Iacopo (n. in Parigi nel 1600, m. ivi nel 1638), imparò gli elementi dell'arte sua da Nicola BoUeri suo zio. Viaggiò in Italia;
124 Pittura
si fermò a Venezia, ove fece uno studio particolare del colorito sulle o- pere del Tiziano, del Tintoretto e di Paolo Veronese. È uno dei più fa- mosi coloristi, cosa che lo fece appellare il Tiziano di Francia: dava una bella espressione alle sue figure, né mancava d'ingegno. * Di lui sono stati intagliati vari quadri, ed egli pure ha fatto qualche intaglio di per sé. — Kbbe un figlio che fu suo scolaro nella pittura, ch'egli ha onorevol- mente esercitata.
BLANCH ET Tommaso (n. in Parigi nel 1617, m. a lyione nel 1689). Hanvi di lui molte grandi opere che lo fanno annoverare fra i più cele- bri pittori. Uno stadio continuo ed i consigli del Pussin e di Andrea Sac- chi perfezionarono il suo ingegno. Aveva un fare elevato, gran gusto nel disegno, ed un colorito vago: il suo tocco è piacevole insieme e facile: ricche sono le sue composizioni, e vivacissime le sue espressioni. A tanti pregi univa la cognizione dell'architettura e della prospettiva, e fu va- lente tanto nella pittura storica che nei ritratti. Visse quasi sempre a I^ione. Il suo quadro di ammissione all'Accademia di pittura a Parigi, rappresentante Cadmo che uccide il drago, fu presentato dal celebre I,e Brun. I suoi principali quadri sono in Parigi, ma la città di I.ione ne é più di ogni altra ricca. * Poco é stato inciso delle sue opere.
BLANKHOF Gio. Teunisz Antonio, Ol. (n. in Alkmaer nel 1628, m. in Amsterdam nel 1670), allievo di Arnold Teerling, di Pietro Scheyn- burg e di Cesare Van Everdingen, era valentissimo pittore in tutti i ge- neri, ma specialmente nelle marine, nelle tempeste e negli uragani. I suo quadri sono ricercati.
BLEKERS Nicola, Ol. (n. in Harlem nel 1635 e m. ivi nel 1682), era buon pittore di storia; le sue composizioni hanno del fuoco e del genio e grande correzione di disegno.
BLES Enrico, Fiam. (n. a Bovine nel 1480 e m. ivi nel 1529), era ec- cellente pittore di paesi, vario nelle composizioni e di tocco franco e ro- busto; ma il colorito era, in generale^ un po' troppo verde. lya marca che apponeva a' suoi quadri era una civetta.
BLOCK Beniamino, Ol. (n. in Utrecht nel 1631, m. in patria nel 1678), allievo di suo padre, dipingeva bene la storia ed era rinomato pei ritratti.
BLOCKLAND, V. Ant. Monfort.
BLOEMAERT Abramo, Ol. (n. a Gorcum nel 1567, m. in Utrecht nel 1647). vSuo padre, che era architetto, gli fece insegnare la pittura da mae- stri mediocri, e fu allievo di Giuseppe di Beer, di Van Heel e di Enrico Vythoeck. Il suo ingegno e lo studio ch'ei faceva della natura gli acqui- starono un fare molto stimato: abbracciò tutti i generi di pittura, eccet- tuati i ritratti, ma sopratutto sono assai reputati i suoi paesi, e dipinse con gran cura pure la storia. Facilmente inventava, ed i suoi composti sono ricchi e dilettevoli: il suo panneggiare bene inteso: il tocco libero, il suo colorito é brillante; e molto bene era padrone del chiaroscuro. I suoi quadri sono d'ordinario ornati di figure grandi al naturale, ed assai
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avvenenti. Viene accagionato di non avere gran che badato al vero, e di avere alcuna volta dipinto per pratica; il gusto del suo disegno sente del suo paese. Suo discepolo fu Cornelio Poelemburg. Difficilmente trovansi opere di quest'artista fuori de' Paesi Bassi e della Germania. Ebbe tre figli, Adriano, Cornelio ed Enrico che furono anch'essi pittori. * Ha in- ciso egli stesso ad acqua forte una Giunone, e sono stati fatti altresì intagli delle sue opere.
BLOEMAERT Adriano, secondo figlio di Abramo, venuto in Italia, vi sali in fama di pittore di storia. Poi lasciò Roma per andare a Salti- bourg, dove in un duello fu ucciso di spada.
BLOEMAERT Cornelio, terzo figlio di Abramo. * Dopo avere dipinto per qualche tempo, lasciò la pittura per darsi all'intaglio. Si recò in Ita- lia, dove acquistò fama di valente, ed ivi morì.
BLOEMAERT Enrico, Ol. (n. nel 1595), primo figlio di Abramo, al- lievo di suo padre, fu pittore mediocre.
BLOEMEN Gio. Francesco (Van), Fiam. (n. in Anversa nel 1662, m. a Roma nel 1740), era detto V Orizzonte. Bravo pittore di paesi, giudizioso nel dare una bella gradazione ai piani de' suoi quadri, e di colorito buono e veracissimo.
BLOEMEN Norberto (Van), Fiam. (n. in Anversa nel 1672, m. in Am- sterdam), fratello di Gio. Francesco e di Pietro, era soprannominato il Cejalo. Dipingeva conversazioni e ritratti con molto merito.
BLOEMEN Pietro (Van), Fiam. (n. in Anversa nel 1658, m. nel 1713), fratello di Gio. Francesco e di Norberto era soprannominato Standaert. Venne in Italia a trovare suo fratello, e ritornato in patria fu fatto diret- tore dell'Accademia d'Anversa. Nelle sue composizioni v'è abbondanza e ricchezza. Dipingeva battaglie, carovane, mercati di cavalli, feste ro- mane e carnevalesche. Ha disegno buono e corretto. Dipingeva i cavalli a meraviglia, con grasso e morbido colorito, e con tocco facile e largo.
BLOK Giacomo Reugers, Ol. (n. a Gouda nel 1580, m. a Berg-Saint- V^inox nel 1632), venne in Italia a perfezionarsi nell'arte sua, e dipingeva bene l'architettura e la prospettiva. ly'arciduca I^eopoldo gli assegnò una pensione considerevole, e lo condusse con sé.
BLONOEEL lyansloos, Fiam. (n. a Bruges nel 1500, m. nel 1559). In gioventù fu muratore di professione, come lo accenna la marca della cazzuola ch'ei solca mettere in tutti i suoi quadri. Dipingeva bene le ro- vine, l'architettura, gli incendii.
BLOOT Pietro, Fiam. (m. nel 1667), dipingeva brigate di contadmi che ballano, bevono e litigano, nei quali soggetti la natura è servilmente imitata. I,e sue figure sono rozze, grossolane e mal disegnate: ma il suo colorito è buono e il suo pennello leggiero.
BOCKHORTS Gio., Ol. (n. a Deutekom nel 1661, m. in Olanda nel 1724), si portò giovane a I/Dndra, ed ivi fu allievo di Kneller. Dipingeva bene la storia, le battaglie ed i ritratti; i suoi lavori son ricercati.
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BOEL Pietro, Fiam. (n. in Anversa nel 1625, m. ivi nel 1687), allievo di Sneyders, dipingeva con bella maniera gli animali e le frutta. Pen- nello largo e vigoroso, colorito vero ed armonico.
BOL Ferdinando, Ol. (n. a Dordrecht nel 1610, m. in Amsterdam nel 1681), fu imo de' migliori allievi di Rembrandt, sopratutto nel genere de' ritratti, alcuni de' quali si distinguono a mala pena da quelli del suo maestro.
BOL Gio., Fiam. (n. a Malines nel 1534, m. in Amsterdam nel 1585). Era buon pittore a tempera e all'acquarello, dipingeva bene la storia, i paesi e le marine, con superbo colorito, e con vigoria singolare. I suoi quadri sono rari in commercio.
BOLOGNESE [Gian Francesco Grimaldi detto il], (n. a Bologna nel 1606, m. in Roma nel 1680), fu allievo dei Caracci di cui era parente, ed acqui- stò gran fama. Fu in Francia, e per tre anni lavorò al I^ouvre. Dipingeva a perfezione i paesi, ed ammirabili sono i fogliami; i suoi luoghi sono scelti con gran felicità: morbido è il suo pennello, dolce il suo colorito, ma tuttavia sarebbe desiderabile che il suo tono fosse men verde. D'or- dinario adomano i suoi quadri begli edifìzi. * Ha a.nche incisi ad ac- quaforte vari pezzi, fra i quali cinque paesi del Tiziano: i suoi disegni come le sue incisioni sono assai stimati. — In Roma ha dipinte varie cose a fresco, paesi, ritratti e quadri di storia. In Frascati ed in Piacenza sonvi pure opere di lui.
BOLTRAFFIO Giovanni Antonio, (n.a Milano nel 1467 m. ivinel 1516), gentiluomo e ricco, fu allievo di I^eonardo da Vinci, col quale aveva con- tratta dimestichezza alla corte di I^odovico Sforza. Non si occupò di pit- tura che negli avanzi di tempo. Poche tavole dipinse per chiese, di più per famiglie, in gran parte poscia attribuite ai più rinomati imitatori ed allievi di lyconardo.
lya sua più celere opera apparteneva alla chiesa della Misericordia in Bologna, eseguita nel 15 15.
BOM Pietro, Fiam. (n. in Anversa nel 1530, m. nel 1572). Era buon paesista a temp., e fu aggregato al Corpo Accad. de' pittori di Anversa.
BON BOULLONGNE, V. Boulfongne Bon.
BOON, V. Boonen.
BOQNEN Arnoldo, Ol. (n. a Dort nel 1669, m. in Amsterdam nel 1729).
Allievo di Arnoldo Verbuis e di Goffredo Schalken. Ad imitazione del secondo suo maestro, dipingeva soggetti notturni, ed era rinomatis- simo pei ritratti, ben disegnati e somiglianti in sommo grado. Tutti i grandi di Germania vollero essere da lui ritratti. I quali lavori pieni di grazia ed armonia passano tutti in commercio sotto il nome di Schalken, e raggiungono talora prezzi assai elevati.
BOONEN Gasparo, Ol. (n. a Dordrecht nel 1677, m. ivi nel 1729), al- lievo di suo fratello Arnoldo, dipingeva con gusto e nella maniera di lui, benché con merito minore.
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BORDONE Paride (n. in Treviso nel 1500 e m. a Venezia nel 1570). I meriti di lui furono formati dal Tiziano e dal Giorgione; e la fama che acquistarongli le sue opere lo fecero bramare da molti principi. Fu in Francia sotto il regno di Francesco I. — I^a R. Pinacoteca di Torino possiede di lui un bel ritratto di giovane donna.
BORGOGNONE, V. Iacopo Courtois.
BORGT Enrico (Vander), Fiam. (n. a Bruxelles nel 15B3, m. a Fran- chort nel 1639), fu ammesso alla scuola di Gilles Van Valkenburg, e si segnalò nel dipingere la storia.
BORGT Pietro (Vander), Fiam. (n. a Bruxelles nel 1625, m. nel 1674), era buon pittore di storia, che poi lasciò per dipingere paesi, genere in cui riuscì perfettamente.
BORSUM Adam (Van), Ol. (che viveva nel 1666), fu buon pittore di paesi e d'animali sullo stile di Aart Vander Neer, sebbene abbia pure studiato Paolo Potter. Ha colorito fermo e naturale, ed i suoi quadri sono rari in commercio.
BORZONI Francesco Maria (n. in Genova nel 1625 ed ivi m. nel 1679), si diede specialmente al paesaggio. Sua maniera s'accosta alquanto a quella del I^orena e del Gasparri, Si portò in Francia e vi lasciò molte sue opere assai belle: ha pure rappresentati paesi e vedute di mare nelle vòlte del castello di Vincennes. Suoi disegni lavati nell'inchiostro di China sono stimati. * Jacopo Coelemans ha intagliate molte tavole dalle sue opere.
BORZONI Gio. Batt. (m. in Genova circa il 1657), fu eletto per ter- minar le opere dal padre suo incominciate; ma la sua debole salute non gli permise di proseguire i proprii studii, e mori sul fiore dei suoi anni.
BORZONI laudano (n. in Genova nel 1590, m. in Milano nel 1645), fu eccellente pittore di soggetti di storia e di ritratti. Suo ingegno era vivace e dovizioso; sue composizioni sono di una maniera elevata: dava anima alle sue figure: preciso è il suo disegno, morbido il suo pennello. lyC principali sue opere sono in Genova ed in IVIilano. Itaselo tre figliuoli che furono suoi allievi nella pittura.
BOS Gerolamo, Ol. (n. a Bois-le-Duc nel 1415), fu de' primi pittori di storia. I suoi panneggiamenti sono gettati con buon gusto; i suoi sog- getti qualche volta terribili; il suo genio era di dipingere l'inferno. I suoi quadri sono trasparenti, caldi, e fatti con maniera franca.
BOS Gio. I/Uigi, 01. (n. a Bois-le-Duc nel 1451), fu eccellente pittore di fiori e di frutta di un finito e di una verità seducenti. Aveva un colo- rito si fresco e naturale, che perfiu le goccie della rugiada si osservano nei suoi quadri trasparentissime. Dipingeva pure i più piccoli insetti a perfezione, e toccava ogni cosa con gran leggerezza.
BOSCH Baldassarre (Vanden), Fiam. (n, in Anversa nel 1675, m. ivi nel 171 5), fu allievo di Thomas. Il suo genere di dipingere erano gli interni con figure, discretamente bene espressi; e cosi pure i ritratti.
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BOSCHAERT Nicolò, Fiam. (n. in Anversa nel 1696, m. ivi nel 1743). allievo di Crepu, dipingeva fiori e frutta; il suo pennello è delicato e leg- giero.
BOSCHAERTS [Tommaso Villeborts], (n. in Ber-op-Zoom nel 1613, m. ivi nel 1656), fu allievo di Gherardo Seghers. Viaggiò in Italia, e po- scia si fermò in Anversa ove divenne per le opere sue l'ammirazione e la delizia degli intelligenti; e nel 1649 fu nominato direttore dell'Acca- demia di tale città. Il principe d' Grange ammirando l'eccellenza dei suoi quadri, li acquistò tutti, e seco lo condusse all'Aja, ove l'occupò nell'ab- ìjellire il proprio palazzo. Nei suoi quadri di storia e ne' ritratti si accosta ad Antonio Van Dyck. I^e sue teste sono graziosissime, il suo disegno è corretto, il suo pennello tenero ed armonioso. Era padrone del fare allegorico, i suoi composti sono vivi ed ingegnosi, e dava grand'anima alle sue figure. Possedeva anche la parte del colorito.
BOT, V. Baut.
BOTH Gio. ed Andrea, fratelli GÌ. (nati entrambi in Utrecht nel 1610 e 161 5. Andrea si annegò a Venezia nel 1650, e Giovanni morì dal do- lore in patria poco tempo dopo). Ebbero a maestro prima il padre loro, poscia Abramo Bloemaert. Venuti a Roma, lungamente vi dimorarono, e Giovanni appunto per esservisi fermato maggiormente fu sopranno- minato Both d'Italia. Questi due fratelli in tutta la loro vita si manten- nero molto uniti; insieme fecero i loro studii, i loro viaggi ed anche i loro quadri. Giovanni fece suo in tutto e per tutto il gusto di Claudio di lyorena, ed Andrea era eccellente nella maniera del Bamboccio: il primo soleva far paesi, ed il secondo li ornava con figure e con animali. I quadri fatti da questi due fratelli sono tanto più preziosi, inquanto che essendo ognuno d'essi eccellente nella propria parte, sembrano di- pinti tutti da una stessa mano. I^e loro opere mentr'essi vivevano erano ricercatissime ed assai pagate; ne eseguirono un numero grande, e se l'avidità del guadagno si fosse meno appresa al cuore di questi due fra- telli, avrebbero forse superato nel merito il loro maestro. Ma tanto era in essi l'amore al danaro, che accadde sovente di vederli cominciare e terminare un gran paese con figure in uno stesso giorno, e venderlo a caro prezzo. Di più, si osserva ne' loro paesi, per cagion d'avarizia, una grande economia di oltremare, in quei tempi carissimo, e perciò risultano quadri loro anneriti per difetto di nutrimento. Del resto, i quadri che fe- cero con diligenza non la cedono a quelli dei migliori paesisti di quel tempo.
Il loro tocco era facile e franco, morbido il loro pennello, florido, fre- sco e vivace il loro colorito, e ponevano molto fuoco nei loro composti; vedesi in alcuni loro paesi penetrare il sole frammezzo gli alberi con una verità sorprendente; un bell'accordo del chiaroscuro regna in tutti i paesi loro, i quali incominciano a diventare assai rari e raggiungono prezzi ragguardevoli. Circa Giovanni si narra ch'erasi fatto talmente suo lo
BoTTiCELLi: La Vergine col Bambino,
S. Giovanni e V Arcangelo Gabriele
(Torino, R. Pinacoteca)
9 — Sarasino.
Elenco dei Pittori
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stile di Claudio di Lorena nei paesi, che riusci ad ingannare il re di Spa- gna nel modo seguente: avendo questo sovrano commesso a Claudio di I,orena alcune composizioni , ed il Both ciò conoscendo; le esegui pur
BoTTiCELLi: Madonna col bambino (Torino, R. Pinacoteca)
esso per conto proprio con maggior rapidità, indi le consegnò al monarca che glie ne sborsò l'importo credendole eseguite ed inviate da Claudio. Sei mesi dopo, Claudio spedi i suoi quadri alla Corte di Spagna: ma quale non fu la sua sorpresa allorché seppe avere il Re sei mesi prima ricevuto
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i paesi di lui! Tale equivoco fece si che Claudio si decise a ricavare tutti i disegni dei proprii quadri, ed a farli incidere, chiamando poi tal colle- zione Liher veritatis. — O. P. : Paesaggi (con Andrea), a Munich; id., a Dresda; Veduta d'Italia, e Sfilata fraroccie, a Parigi; Veduta di una scu- deria e d'una corte d'albergo in Italia, ad Amsterdam; Paesaggi, id.; Paesaggi, a I^a Haye, a Berlino, a Firenze, a lyondra, Roma, Madrid; Il giudizio di Paride (Giovanni con Poelenburg), a I^ondra. * Si hanno alcuni intagli di mano di Giovanni Both, ed alcune sue opere eziandio sono state incise.
BOTTICELLI Sandro [Alessandro Fìlipepl, detto], (n. a Firenze nel 1447 e m. nel 1515). vSuo nome di famiglia è Filipepi; ma avendo preso quello di un orefice chiamato BotitcUo, presso cui suo padre l'aveva messo ad ap- prendere il mestiere, non fu poscia conosciuto che sotto il nome di Sandro Boticelli. Non piacendogli l'arte dell'oreficeria, si applicò alla pittura, sotto la direzione di Filippo Lippi: e in questa fece rapidi progressi, di- ventando abile disegnatore ed eccellente